Oggi il 15 maggio, il popolo palestinese commemora Al Nakba, la catastrofe
La redazione
Al Nakba è l’appellativo che i Palestinesi danno al 15 maggio 1948, data in cui lo stato d’Israele si è impossessato delle terre, delle case e delle vite del popolo palestinese. Al Nakba è stato il giorno in cui il popolo palestinese si è trasformato in una nazione di rifugiati.
750.000 Palestinesi sono stati espulsi dalle loro case e sono stati costretti a vivere nei campi profughi. Molti di quelli che non sono riusciti a scappare sono stati uccisi.
Nel 1948 più del 60 per cento della popolazione palestinese è stato espulso.
Più di 530 villaggi palestinesi sono stati evacuati e distrutti completamente.
Finora Israele ha impedito il ritorno di circa sei milioni di rifugiati palestinesi e continua ancora oggi a cercare di espellere i palestinesi dalla loro terra. Queste operazioni assumono di volta in volta forme e nomi diversi, attualmente vengono chiamati “trasferimenti”.
I rifugiati palestinesi sono fuggiti in diversi posti; alcuni sono fuggiti nei paesi limitrofi intorno alla Palestina, altri sono fuggiti all'interno della Palestina ed hanno vissuto nei campi profughi, costruiti appositamente per loro dalle agenzie ONU, e altri si sono dispersi in vari paesi del mondo.
Tutti questi rifugiati hanno un sogno in comune: ritornare nelle loro case di origine, e questo sogno è rinnovato ogni anno attraverso la commemorazione della Nakba.
Cenni cronologici
: Dal 1920, il governo mandatario britannico ha messo la Palestina in una situazione economica, amministrativa e politica difficile, facilitando la formazione di uno stato ebraico e la conseguente espulsione dalle proprie terre di oltre 750.000 Palestinesi, in quattro fasi temporali diverse.
Prima fase: gennaio 1947 e marzo 1948. Circa 30.000 Palestinesi sono costretti a lasciare il paese.
Seconda fase: marzo 1948 – maggio 1948 . Oltre 300.000 Palestinesi abbandonano Gerusalemme ovest, Tiberiade, Haifa, Jaffa, Beishan. Sono stati terrorizzati dal terribile massacro compiuto dai terroristi sionisti dell’Hagana e Stern contro civili inermi del villaggio di Deir Yasin, dove furono uccise 250 persone compresi i bambini, le donne e gli anziani.
Terza fase: maggio 1948 dicembre 1948. I militari israeliani deportano in Giordania circa 100.000 Palestinesi residenti a Ramallah e Lod.
Quarta fase: a causa delle ostilità israeliane, che sono continuate anche dopo la guerra del 1948, oltre 200.000 Palestinesi sono stati costretti a rifugiarsi nella striscia di Gaza.
Un altro ingente esodo forzato di 350 mila palestinesi é avvenuto nel 1967, dopo la cosiddetta guerra dei giorni.
Il caso dei profughi palestinesi è oggi il più considerevole come numero di persone coinvolte ed anche quello che si protrae di più nel tempo, rispetto agli altri casi di rifugiati nel mondo.
Più di 6 milioni di persone, che rappresentano i tre quarti del popolo palestinese e quasi un terzo della popolazione mondiale dei rifugiati, rimangono senza una soluzione definitiva della loro condizione. Più della metà dei profughi palestinesi non godono dei diritti di base, quali sicurezza fisica, libertà di movimento ed accesso all’impiego.
La maggior parte dei rifugiati palestinesi vive nel raggio di 100 miglia dai confini d’Israele, ospite negli stati arabi confinanti.
Più della metà dei rifugiati vive in Giordania, circa un quarto nella striscia di Gaza e nel West Bank, e circa il 15 per cento risiede in proporzioni uguali in Siria e nel Libano, mentre la popolazione restante dei rifugiati risiede all'interno d'Israele (persone spostate internamente), nel golfo arabo, in Europa e negli Stati Uniti.
Circa un terzo dei profughi costretti all’esodo nel 1948 vive nei campi profughi situati nel West Bank, nella striscia di Gaza, in Giordania, in Libano ed in Siria.
Prima del 1948 i Palestinesi possedevano più del 90% della terra in Palestina, oggi ne possiedono o hanno accesso solo al 10%.
Secondo il diritto internazionale (risoluzione ONU n.194 dell'11 dicembre 1948) i rifugiati hanno il diritto di ritornare nelle loro case di origine, avere la restituzione della proprietà e la compensazione per le perdite e i danni subiti.
Ci sono tre soluzioni di base ai problemi dei profughi palestinesi: rimpatrio volontario (o ritorno), integrazione volontaria nel paese ospitante o trasferimento volontario in un paese terzo.
Di queste tre soluzioni soltanto il rimpatrio o il ritorno è un diritto riconosciuto legalmente.
Ciascuna delle tre soluzioni su menzionate è guidata dal principio degli atti volontari o della scelta del rifugiato. D'altra parte, lo stato d’Israele impedisce ai profughi palestinesi di esercitare il diritto al ritorno nelle proprie case, che è un diritto fondamentale sancito dal diritto umanitario internazionale.
Dati aggiornati al 2008
I profughi palestinesi registrati dall'UNRWA (agenzia ONU per i rifugiati) nel 2008 sono 4.618.141 distribuiti fra i 59 campi profughi in Giordania (10 campi), Libano (12 campi), Siria (9 campi), Cisgiordania (19 campi) e Gaza (8 campi).
Territorio Numero campi ufficiali Profughi registrati Profughi registrati nei campi
Giordania 10 1.930.703 335.307
Libano 12 416.608 220.908
Siria 9 456.983 123.646
Cisgiordania 19 754.263 191.408
Gaza 8 1.059.584 492.299
Totale 58 4.618.141 1.363.496
La situazione in Libano.
I profughi palestinesi in Libano hanno un trattamento diverso e più discriminatorio rispetto a quelli che vivono negli altri paesi arabi. Non hanno diritti civili e sociali.
Non c’è diritto al lavoro, alla proprietà, alla residenza, alla salute, all’istruzione e all’assistenza, alla sicurezza, e neanche diritto di associazione e di libero movimento.
DIRITTO AL LAVORO:
Il 60% dei profughi libanesi vive al di sotto della soglia di povertà
45.000 sono registrati dall’UNRWA nella categoria particolarmente disagiata o di povertà estrema (in percentuale superiore a quella della striscia di Gaza).
Le condizioni economiche si sono sempre più aggravate per i palestinesi in Libano.
Prima del 1982 l’OLP forniva lavoro al 65% della popolazione palestinese, ma poi la sede è stata evacuata.
Dopo il 1993, quando con gli accordi di Oslo si è costituita l’ANP, i fondi dei paesi donatori si sono concentrati in Cisgiordania e Gaza e la disponibilità finanziaria per l’UNRWA (Agenzia ONU per i rifugiati) e le ONG in Libano è stata ridotta. Non sono arrivati aiuti neanche dalla ANP.
Le università dell’europa orientale non hanno offerto più istruzione universitaria a prezzi contenuti e i palestinesi non hanno più potuto andare a lavorare nei paesi arabi produttrici di petrolio perché i costi dei visti di ingresso e di transito per i palestinesi provenienti dal Libano sono andati alle stelle.
Sono respinti anche come rifugiati dai paesi che prima li accoglievano.
Le quasi uniche fonti di sostentamento sono l’UNRWA, le ONG e le rimesse dei parenti dall’estero.
Per legge i profughi palestinesi non possono esercitare, fuori dai campi, 72 professioni e mestieri.
Neanche durante la guerra 2006 il governo libanese ha acconsentito che i palestinesi esercitassero i mestieri a loro proibiti.
La privazione del diritto al lavoro è la maggiora causa di povertà. La disoccupazione fra i profughi è all’80%.
Per ottenere un impiego salariato occorre avere il permesso di lavoro e dopo il 1982 ben pochi permessi sono stati rilasciati ai palestinesi.
Nel giugno 2005 il ministro per il lavoro Trad Haurade, vicino agli Hezbollah, ha emanato un decreto, che poi non è stato tramutato in legge, per cercare di metter mano al diritto al lavoro negato, ma non in maniera efficace. Ha ridotto solo il numero delle professioni proibite, non ha tolto il divieto ai laureati di professare, rimane l’obbligo di avere il permesso di lavoro per ottenere il lavoro salariato. Da notare che chi ottiene un lavoro salariato ha le trattennute di legge per la previdenza anche se poi, in quanto palestinese, non ne può usufruire.
Il decreto non ha affrontato neanche il problema dell’acquisto di case e beni immobili.
Vi sono anche differenze di retribuzione: guadagnano meno di 2400 dollari/anno il 44% dei palestinesi a fronte del 6% dei libanesi.
DIRITTO ALLA PROPRIETA’:
I profughi non possono avere proprietà. E’ preclusa la possibilità di migliorare le proprie condizioni andando a vivere fuori dai campi.
DIRITTO ALLA RESIDENZA:
Il governo libanese vuole tenere il numero di rifugiati al minimo e lo fa continuando a non garantire il diritto alla residenza. Gli accordi di Taif non permettono un insediamento permanente.
Esistono progetti per demolire i campi e la minaccia è sempre alle porte.
Per esempio si è costruita un superstrada alle porte del campo di Bourj al Barajneh ( Beirut sud) che eliminato 40 abitazioni e spazio per il gioco dei ragazzi.
Chi sposa un/una cittadino/a libanese non acquisisce la cittadinanza libanese.
Chi lavora all’estero perde il diritto di residenza
DIRITTO ALLA LIBERTA DI MOVIMENTO
: I profughi non possono lasciare il territorio libanese o rientrare senza un visto valido per un massimo di 6 mesi che è molto costoso.
DIRITTO ALLA SALUTE E ALL’ASSISTENZA
: I profughi palestinesi sono esclusi dai servizi pubblici.
L’assistenza medica è a completa carico dell’UNRWA che però ha sempre problemi di budget. Per le malattie gravi le persone devono contare sull’aiuto di ONG o enti assistenziali.
La Croce rossa copre l’assistenza ospedaliera solo in alcuni campi profughi, ma ha anch’essa problemi di budget.
Le ONG offrono servizi medici, ambulatori ma non sono coordinate e hanno sempre problemi finanziari e non possono migliorare le prestazioni.
Non c’è assistenza psicologica, molto necessaria dopo l’accumularsi di tanti conflitti.
Vi è un alto tasso di mortalità neonatale ed infantile (rispettivamente 26 e 35 per ogni 1000 na-scite); un alto tasso di malattie infantili croniche; il 5% di bambini tra 1 e 3 anni sono malnutriti; più del quinto dei profughi con più di 15 anni di età sono deboli di salute; più del quinto dei profughi usa in modo regolare medicine per curare l’angoscia psicologica.
DIRITTO ALL’ISTRUZIONE
: Anche il diritto all’istruzione è compromesso. Chi provvede è sempre l’UNRWA, ma i servizi sono inadeguati ed insufficienti. Offre solo corsi di elementari e medie e di scarsa qualità. Il mandato dell’UNRWA non prevede l’istruzione prescolare e secondaria (scuole superiori), né tanto meno l’istruzione universitaria.
L’istruzione privata è troppo costosa e l’istruzione pubblica libanese dà priorità ai cittadini libanesi.
Come conseguenza di tutto ciò il tasso di analfabetismo sta aumentando (13% per i maschi, 26% per le femmine, 60% tra i giovani adulti tra i 18 e i 29 anni). Altissima anche la percentuale di abbandono scolastico che è sempre in aumento.
Il 50% circa degli studenti lascia la scuola all’età di 16 anni.
LE CONDIZIONI DI VITA NEI CAMPI:
Nei campi non sono garantiti i servizi base: acqua pulita, elettricità, fognature, raccolta rifiuti, illuminazione pubblica, asfaltatura delle strade.
Il governo non ha autorizzato l’allaccio della fognature alla rete municipale. Ci sono scarichi a cielo aperto, e le vie di notte sono il regno dei topi. Nei campi regna la polvere, l’umidità, il rumore, l’inquinamento. I campi in Libano hanno un’estensione vincolata, non possono essere più grandi di 1 – 1,5 kmq mentre la popolazione si è quadruplicata.
Le case vengono costruite sempre più una vicina all’altra e sempre più in altezza non lasciando passare aria e luce del sole creando, quindi, seri problemi di instabilità strutturale e di igiene.
Non ci sono spazi nelle scuole per far giocare i bambini.
La qualità delle case è la peggiore di tutta le regione mediorientale.
Il 96% non sono isolate e sono fatte di cemento armato che non lascia traspirare.
Non possono neanche essere ristrutturate perché è proibito far entrare nei campi materiali da costruzione.
Il 58.8% non ha acqua potabile corrente, il 13.9% non ha sanitari; il 45.7% non ha energia elettrica; il 67,2% ha un arredo scarso.
Sono fredde di inverno, calde di estate senza luce né aria.
Le malattie si sviluppano principalmente in coloro che stanno più tempo a casa, cioè bambini e donne. Le donne soffrono di artrite in età precoce e i bambini hanno problemi respiratori. Un quarto delle casalinghe usa carbone e legna per cucinare e scaldarsi, l’aria è quindi altamente inquinata.