Obama si prepara allo tsunami dei conservatori


Maurizio Molinari


Sondaggi impietosi: democratici sotto di 15 punti. Il Presidente pensa alle strategie per il dopo voto.


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Obama si prepara allo tsunami dei conservatori

Gli elettori americani si recano oggi alle urne per rinnovare il Congresso di Washington ed eleggere 37 governatori in una consultazione che i repubblicani affrontano convinti di poter infliggere ai democratici una sconfitta talmente netta da trasformare Barack Obama in un presidente dimezzato.

Il sondaggio con cui Gallup-UsaToday tasta il polso all’elettorato prima del voto descrive un possibile tsunami repubblicano in arrivo perché la differenza di 15 punti nelle preferenze – 55 a 40 per i repubblicani – è senza precedenti dal 1946, quanto tali rilevazioni d’opinione ebbero inizio. I repubblicani sono convinti che l’onda favorevole nasca dalla somma fra lo scontento per la crisi economica e il calo della popolarità di Obama – è scesa al 42 per cento – e per rafforzare tale tendenza nelle ore prima dell’apertura dei seggi i leader del partito martellano la Casa Bianca. «Gli elettori devono pensare che sulle schede c’è scritto il nome di Obama e poi votare contro di lui» afferma Haley Barbour, presidente dell’Associazione dei governatori repubblicani, mentre John Boehner, capo dei deputati, sbarca a Cincinnati, Ohio, per accusare il presidente di «aver adoperato il termine "nemici" per descrivere gli avversari» dimostrando di «avere un’idea dell’America molto diversa da quella di Ronald Reagan, George Bush, Bill Clinton e George W. Bush». Il riferimento a Clinton non è casuale: negli Stati dove i seggi del Senato sono ancora il bilico – Nevada, Washington, Pennsylvania, Illinois, West Virginia e Colorado – i repubblicani puntano a mietere consensi fra gli indipendenti e anche fra i centristi democratici che considerano troppo di sinistra le politiche economiche di Obama.

Anche Mitch McConnell, capo dei senatori, concentra gli attacchi sull’inquilino della Casa Bianca: «Sappiamo tutti che punta ad essere riconfermato nel 2012 ma con il voto di Midterm gli americani possono già fargli capire che non la pensano allo stesso modo».

Conti alla mano i repubblicani sono sicuri di poter conquistare i 39 seggi necessari a controllare la Camera – alcuni sondaggi gliene assegnano oltre 60 – mentre la partita del Senato, dove avrebbero bisogno di 10 seggi in più, resta aperta. Nel tentativo di difendere il Senato si muove la First Lady Michelle facendo tappa in Nevada e Pennsylvania per tentare di sostenere i traballanti candidati Harry Reid e Joe Sestak. Obama invece durante l’intera giornata della vigilia non si è fatto vedere in pubblico, dedicandosi a registrate interviste che saranno trasmesse oggi e a partecipare a riunioni fiume con i collaboratori per pianificare il dopo-voto.

I repubblicani da parte loro hanno un’agenda d’attacco già pronta. Barbour promette: «Renderemo irriconoscibile la riforma finanziaria» bloccandone tutti i maggiori programmi. Eric Cantor, destinato a guidare la nuova maggioranza alla Camera, assicura che «taglieremo le tasse per aiutare cittadini e imprese». Il primo braccio di ferro sarà sul rinnovo dei tagli fiscali varati da George W. Bush nel 2001 e 2003 ma, più in generale, avere una Camera contro significherà per Obama dover contrattare ogni singolo capitolo del bilancio federale.

Come se non bastasse il vento conservatore che spazza l’America porta con sé il ritorno sotto i riflettori di Karl Rove, l’ex guru di George W. Bush nei confronti del quale Obama ha usato il termine «nemico». Negli ultimi due anni è stato Rove il commentatore tv più aspro con la Casa Bianca ed è sempre stato lui – con Ed Gillespie, ex capo di gabinetto di Bush – a coordinare la raccolta fondi attraverso gruppi indipendenti che ha portato valanghe di dollari ai candidati. Se i repubblicani vinceranno ci sarà, una volta ancora, il suo zampino.

Fonte: la Stampa

2 novembre 2010

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