Obama pressa Netanyahu: unica soluzione i due Stati
Umberto De Giovannangeli - L'Unità
Un incontro strappato in extremis. Difficile, nervoso. È quello svoltosi alla Casa Bianca tra Barak Obama e il premier israeliano Benjamin Netanyahu. Al centro la crisi del processo di pace e il dossier iraniano.
Un incontro in notturna. «Strappato» in extremis. Un incontro difficile, tra due alleati che non si amano,, ma che sanno di non poter divorziare. Il primo ministro israeliano Benjamin Netanyahu entra nello Studio Ovale della Casa Bianca tarda sera (notte inoltrata in Italia). A riceverlo è un Barak Obama che non nasconde la sua preoccupazione per un processo di pace in Medio Oriente che non decolla.
DIFFICILE INCONTRO
L’incontro è stato confermato a Washington solo l’altro ieri sera dopo che Netanyahu aveva annunciato da due settimane la sua partenza per gli Stati Uniti in occasione dell’Assemblea generale delle comunità ebraiche nordamericane, aggiungendo di sperare in un incontro con Obama. Nir Hafez, consigliere per i media di Netanyahu, ha smentito che le relazioni bilaterali siano in difficoltà. Ma per il quotidiano Haaretz il ritardo nell’annuncio dell’incontro è la spia del fatto che le relazioni bilaterali «sono in crisi». «La Casa Bianca voleva far sudare Netanyahu prima di concedere un’udienza con il presidente e voleva che tutti lo vedessero sudare», scrive il quotidiano, sondo il quale il primo ministro è stato «umiliato». L’incontro, nota il giornale, è stato inoltre fissato nel pomeriggio, troppo tardi per il telegiornale israeliano della sera. La visita si svolge mentre gli Stati Uniti sono impegnati per far ripartire i negoziati di pace. I palestinesi chiedono come precondizione il congelamento delle costruzioni negli insediamenti, ma Israele è disposto a farlo solo dopo aver costruito 3mila appartamenti e se si esclude Gerusalemme est. Una proposta che la segretaria di Stato Usa Hillary Clinton aveva definito positiva, ma sulla quale ha dovuto poi fare marcia indietro ricordando che l’amministrazione americana chiede il pieno congelamento.
L’IMPEGNO AMERICANO
A Nietanyahu, Obama ribadisce quanto da lui più volte affermato, in ultimo videomessaggio con cui il presidente Usa ha ricordato il quattordicesimo anniversario dell’uccisione di Yitzhak Rabin: l’inquilino della Casa Bianca è impegnato nel sostenere una soluzione di pace a «due Stati» per il conflitto israelo-palestinese. Due entità statali che, ribadisce Obama, «vivranno fianco a fianco in pace e sicurezza». «Israele non arriverà ad avere sicurezza finché i palestinesi saranno in una situazione disperata», ha affermato ancora il presidente americano sottolineando che «i legami degli Stati Uniti con i nostri alleati israeliani sono granitici». «Noi – ha aggiunto Obama – non perderemo mai di vista il nostro fine comune: una pace giusta e durevole in Israele, Palestina e nel mondo arabo». Al presidente Usa, Netanyahu ribadisce la sua volontà di «avviare in tempi rapidi negoziati senza pregiudiziali con l’Autorità Palestinese». Una determinazione contestata da Ramallah.
In rischio di una nuova ondata di violenze, se gli Stati Uniti non riusciranno a rilanciare il processo di pace israelo-palestinese, è reale. Questo è l’avvertimento di Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente dell’Anp. «La violenza – aggiunge Rudeina – riempirà il vuoto lasciato dal fallimento degli sforzi per rilanciare il processo di pace se l’amministrazione americana non si impegnerà a esercitare pressioni sul governo israeliano». «Se l’America – ha continuato – si mostrerà incapace di svolgere il ruolo che le compete, allora gli Usa e Israele saranno ritenuti responsabili delle conseguenze disastrose che ci saranno». Il portavoce palestinese ha affermato che lo stallo in cui si trova il processo di pace è dovuto «all’intransigenza di Israele e alla sua insistenza a continuare la politica di colonizzazione» in Cisgiordania.
Fonte: l'Unità
10 novembre 2009