Obama: diritto al ritorno dei rifugiati. Ma non in Israele


Emma Mancini - nena-news.globalist.it


I team di negoziatori: accordo preliminare entro nove mesi. La lettera del presidente USA, le promesse di Israele e la condanna delle Ong palestinesi, contrarie al dialogo.


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Si riprende tra due settimane in Palestina: ieri i team di negoziatori israeliani e palestinesi sono giunti a due primi “accordi”, entrambi temporali. Tra quindici giorni si torna al tavolo dei negoziati sponsorizzato dagli Stati Uniti e entro nove mesi si firmano le basi per la pace: uno Stato palestinese indipendente entro i confini del 1967 accanto a Israele, Stato ebraico.

Come una gravidanza: nove mesi durante i quali le due parti dovrebbero risolvere questioni pendenti da decenni. Difficile essere ottimisti come lo è il segretario di stato John Kerry, entusiasta del impegno dimostrato nei negoziati: “Capisco lo scetticismo, ma non lo condivido. Non credo abbiamo tempo per questo. Tutte le questioni, compreso il contenzioso sullo status dei Territori e di Gerusalemme sono sul tavolo con un fine semplice: un modo per porre fine al conflitto”.

“Sappiamo che non sarà facile – ha commentato il capo negoziatore israeliano, Tzipi Livni – Sarà difficile, con alti e bassi. Ma posso assicurare che in questi negoziati non è nostra intenzione discutere del passato, ma solo creare soluzioni per il futuro”. Guardare al futuro, magari ricordando però questioni chiave del passato: rifugiati palestinesi e colonie, su tutte. Ieri il presidente Obama ha consegnato una lettera ai negoziatori nella quale individua i due punti nodali: discutere dei confini precedenti al 1967 prevedendo scambi di terre e ritorno dei rifugiati. Non in Israele, Stato ebraico, ma nella futura Palestina.

Ieri Kerry e i negoziatori si sono detti d’accordo: il dialogo proseguirà almeno fino ad aprile 2014. Probabilmente non si troverà un accordo di pace, pensa Washington, ma se ne getteranno le basi. E per i più pessimisti, Kerry annuncia: dopo la liberazione (graduale) dei 104 prigionieri palestinesi, Tel Aviv avrebbe in mente altre misure per migliorare le condizioni di vita a Gaza e in Cisgiordania. Alla buona volontà israeliana, si aggiungerebbero quattro miliardi di dollari di investimenti privati americani verso Ramallah.

Un bel gruzzolo e tante promesse con cui costringere il presidente Abbas a restare al tavolo dei negoziati per nove mesi e, probabilmente, a cedere di nuovo sulle questioni fondamentali della causa palestinese. Abbas si è ulteriormente inimicato le fazioni politiche opposte, da Hamas al Fronte Popolare. Ieri è stata la rete delle organizzazioni non governative palestinesi ha condannare il ritorno al tavolo dei negoziati con l’occupante.

La Palestinian NGO Network, rete che comprende 133 organizzazioni, ha rilasciato una dichiarazione con la quale sottolinea la gravità di una simile decisione, presa senza che Israele si impegnasse verso richieste anche basilari, come la fine della colonizzazione e i confini pre-1967. Condannata anche l’ANP, colpevole secondo il network, di aver rinunciato alla possibilità di trascinare Israele di fronte alla Corte Penale Internazionale in cambio di negoziati privi di senso e senza prospettive.

Fonte: Nena News

31 luglio 2013

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