Norvegia, la fine dell’innocenza


Fulvio Scaglione - famigliacristiana.it


Un Paese aperto e tranquillo, membro però della Nato fin dal 1949 e impegnato in Afghanistan. Le aspre polemiche in corso da anni sull’immigrazione islamica.


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Norvegia, la fine dell'innocenza

Il duplice (la bomba e poi la sparatoria) attentato che ha colpito il centro di Oslo, capitale della Norvegia, e alcuni edifici governativi, facendo un numero ancora imprecisato ma alto (dieci? venti?) di vittime, ha spinto alcunoi osservatori a parlare di "fine dell'innocenza".

    Questo per trasmettere il senso di sorpresa, anzi di shock, di fronte al massacro portato nel cuore di una nazione considerata pacifica, un Paese in cui anche i politici di vertice mettono il numero di telefono di casa sui biglietti da visita, lo Stato che rende pubblici i guadagni dei suoi più augusti rappresentanti e, anzi, li fornisce alla stampa perché siano pubblicati. La società in cui il fisco mette un motore di ricerca a disposizione dei cittadini,  perché possano tranquillamente "spiare" le denunce dei redditi del campione dello sport come del vicino di casa.

     Un Paese così aperto e quieto, trasparente ed estraneo ai grandi conflitti, come può diventare il bersaglio dei gruppi estremisti islamici, o di Al Qaeda, ai quali è stato subito attribuito l'attentato?

     E' una reazione forse ingenua ma spontanea e naturale. Anche perché i norvegesi, proprio come i vicini svedesi fino all'assassinio di Olof Palme nel 1986, hanno finora rifiutato qualunque proposta volta a limitare le libertà individuali e il dirotto alla privacy in nome di una maggiore sicurezza e di una precauzione rispetto alle emergenze internazionali. Anche dopo che William Nygaard, traduttore dei Versi satanici di Salman Rushdie, fu ferito a colpi di pistola, due mesi dopo la proclamazione della fatwa contro lo scrittore da parte dell'ayatollah Khomeini, nel 1993.

     Anche la Norvegia, però, negli ultimi tempi ha dovuto adattarsi alla situazione e portare la propria parte di peso nelle grandi crisi mondiali. Membro della Nato fin dalla fondazione nel 1949, la Norvegia è stata per decenni il  "grande orecchio" occidentale sugli affari militari dell'Urss. E nel 1986 partirono proprio dalla Norvegia il primo allarme e le prime rivelazioni sul disastro atomico di Cernobyl.

     Ma sono le ultime sfide quelle che contano. In Afghanistan, la Norvegia è presente con 406 uomini dislocati nella capitale Kabul e nel Nord fin dal 2003. Un contingente non enorme ma quasi interamente formato da truppe d'assalto. Quale fedele membro della Nato, inoltre, la Norvegia ha partecipato alle fasi iniziali della guerra contro Gheddafi in Libia con un robusto supporto aereo, ritirato però dopo le prime settimane del conflitto.

    Può darsi, dunque, che sia questo rinnovato impegno militare ad aver attirato su Oslo la vendetta di qualche gruppo militante. Se è così, l'apertura e la rilassatezza della società norvegese non può che aver favorito i terroristi.

    La Norvegia, inoltre, ha un problema aperto con l'immigrazione cosiddetta "islamica". In termini numerici l'allarme è contenuto (i musulmani sono tra il 2,5 e il 3% della popolazione, in gran parte concentrati nella capitale Oslo e provenienti da tre soli Paesi: Pakistan, Iraq e Somalia), ma in termini politici la questione è assai viva.

     Il tema è stato al centro del dibattito per le elezioni di fine 2009 e il Progress Party di Siv Jensen, proprio sfruttando la tensione anti-immigrati, ha conquistato 3 seggi in più in Parlamento. Un recente sondaggio Gallup, inoltre, ha mostrato che quasi il 54% dei norvegesi gradirebbe il blocco dell'immigrazione (era meno del 49% nel 2005) e che il 48,7% considera l'integrazione degli immigrati musulmani "molto scarsa" (nel 2005 la pensava così il 36%).

     Molti dei leader della comunità islamica norvegese, al contrario, lamentano una diffusa xenofobia ai limiti del razzismo e aperte discriminazioni. A meno che non si trovi rapidamente un colpevole, l'attentato di Oslo non può che peggiorare la situazione.

Fonte: Famiglia Cristiana

22 luglio 2011

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