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il Manifesto
Istat, in pandemia si moltiplicano i numeri della violenza sulle donne. Diffuso il rapporto relativo alle richieste di aiuto durante il 2020. Le chiamate al 1522 sono cresciute esponenzialmente nei mesi del lockdown. Oltre 20mila le utenti che si sono rivolte ai Centri antiviolenza. I maltrattanti sono famigliari e partner.
È stato diffuso ieri lo studio dell’Istat denominato «Le richieste di aiuto durante la pandemia» consegnando i dati dei Centri antiviolenza, delle Case rifugio e delle chiamate al 1522 relativi al 2020.
Già grazie ai rapporti di Action Aid ed Eures, nonché quelli consegnatici dalla rete Di.Re., a ridosso del 25 novembre (la giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne), il quadro fotografava una condizione, nazionale e internazionale, di grave intensificarsi.
Lo studio dell’Istat ci conferma dunque che l’emergenza sanitaria ha avuto, in particolare nella fase del lockdown che ha previsto convivenze forzate, l’effetto di detonare situazioni pregresse di violenza e scoperchiarne di ulteriori.
L’AUMENTO CONSISTENTE delle chiamate all’utenza dedicata del 1522 è pari al 79,5%, ovvero da 8427 chiamate del 2019 si è passati a 15128 nel 2020. Anche i messaggi arrivati alla chat hanno avuto un incremento del 71%, passando da 683 a 2361. Riguardo le telefonate, il picco si registra da fine marzo con un +176,9% ad aprile (rispetto all’anno precedente) e a un +182,2% a maggio (rispetto allo stesso mese del 2019). Intorno a novembre del 2020, quindi nella settimana in cui le campagne informative riguardanti il 25 novembre si facevano più fitte, l’Istat riferisce un aumento del 114,1% rispetto al 2019. Si tratta, nel 47,9% dei casi, di violenza fisica, anche se tutte le donne che si sono rivolte al 1522 hanno denunciato più forme, compresa quella psicologica nella metà dei casi. In aumento l’aiuto chiesto dalle ragazze, nella fascia di età fino ai 24 anni (11,8%) e dalle donne di età superiore ai 55 anni (23,2%); in assoluto, circa la metà risulta coniugata. Anche a proposito dei maltrattanti la conferma è che si tratti di famigliari con un aumento, tuttavia, nell’anno scorso: il 18,5% nel 2020 contro il 12,6% nel 2019. Le violenze ricevute invece dai partner restano nella invariata percentuale del 57%.
UN DATO IN CRESCITA è quello relativo a chi si rivolge al 1522, nella maggior parte dei casi le donne eppure vi è l’aumento (fino all’80% in più) di parenti, amici, conoscenti e operatori territoriali che chiamano per segnalare situazioni di violenza.
Anche i dati che arrivano dai centri antiviolenza ribadiscono quanto i primi mesi del 2020 abbiano visto un’accentuazione del fenomeno, si parla infatti di oltre 20mila donne rivoltesi ai centri, quasi il 10% di esse ha dichiarato che si sia trattato di circostanze legate alla pandemia, ovvero l’obbligo di convivenza a causa del lockdown, la perdita del lavoro da parte della donna o dell’autore della violenza; sopra la media si trovano Lazio, Veneto, Sicilia, Sardegna e Lombardia. I dati dei territori, nella loro differenza, ci offrono una visione ancora più dettagliata: dalla media di 73 accolte per centro antiviolenza, si raggiunge 108 nel nord-est e 95 nel centro Italia. Un dato rilevante giunge dalle isole che hanno visto un incremento del 41,5% di accolte nei primi cinque mesi del 2020 mentre un calo si è verificato nel nord-ovest con un 16,4% in meno.
LA DIFFICOLTÀ affrontata dai centri antiviolenza, ampiamente descritta nei mesi scorsi, tra emergenza sanitaria, penuria di fondi e impossibilità evidenti connesse al lockdown, non ha tuttavia prodotto l’interruzione dei servizi se non in sei casi (tre in Lombardia, uno in Veneto, nel Lazio e in Abruzzo).
Grazie alla rete delle associazioni e dei centri infatti si sono svolti in presenza – rispettando le regole del distanziamento – il 67,3% dei colloqui, telefonate e mail hanno fatto il resto – che è tantissimo immaginando quanto nelle prime settimane di pandemia si sia avuto un fisiologico calo di utenze e un panorama tutto da ripensare in relazione a ciò che di inedito stava capitando; in particolare ne hanno risentito i centri antiviolenza di Lombardia, Piemonte, Emilia Romagna, Toscana e Marche; al sud invece Molise e Puglia. Maggiore è stata invece la difficoltà accusata dalle Case rifugio che, nella metà dei casi, hanno trovato difficoltà nel trovare nuova strategie di intervento, avendo una natura di carattere residenziale e dunque difficilmente modificabile.
Alla luce di questi numeri, sarà bene considerare quanto mai essenziale il lavoro che viene fatto sui territori, le reti politiche e di sostegno che non si sono date per vinte anche durante i mesi più difficili dell’anno scorso.
E quanto soprattutto la violenza maschile contro le donne mostri il suo aspetto strutturale, anche in mezzo a una pandemia mondiale.
Alessandra Pigliaru
Il manifesto
18 maggio 2021