Nessuna tregua per Aleppo


Roberto Zichittella


Ancora bombe e morti nella martoriata città siriana dove si combattono le forze armate di Assad e i gruppi ribelli. Colpiti anche gli ospedali: 250 morti in 10 giorni. Intanto la diplomazia arranca.


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“E poi ancora bombardamenti. Bombardano una città morta”. E’ la Stalingrado del 1942 descritta dallo scrittore russo inviato di guerra Vasilij Grossman, ma potrebbe benissimo essere la Aleppo di oggi. “Aleppo sanguina”, scrive oggi Al Jazeera dopo l’ennesima pioggia di razzi e di bombe sulle case della martoriata città siriana. Negli ultimi 10 giorni i morti sono stati almeno 250. Chi preme il grilletto? Il governo siriano e le forze ribelli si rimpallano la responsabilità dei massacri. Intanto la gente muore.

Vengono colpiti senza pietà anche gli ospedali, compresi quelli dei bambini. L’uccisione sotto le bombe, la scorsa settimana, del medico pediatra Muhammad Maaz ha commosso e indignato il mondo. Maaz era uno degli ultimi pediatri rimasti ad Aleppo e nel 2013 era riuscito a realizzare, con grande fatica, una campagna di vaccinazioni contro il morbillo. Come ha detto un medico siriano intervistato dal quotidiano spagnolo El Mundo, “colpire gli ospedali ha una ragione. Se uccidi un medico uccidi almeno altre 200 persone che non potranno essere curate”.

Sotto le bombe di Aleppo muoiono medici, infermiere, barellieri, autisti di ambulanze. La guerra non rispetta più nessuno e suonano più che mai vere le parole usate da Amnesty International nel suo ultimo Rapporto annuale: “Il conflitto siriano è ormai diventato il simbolo dell’inadeguata protezione dei civili a rischio e, in senso più ampio, del sistematico fallimento da parte delle istituzioni nel far rispettare il diritto internazionale”. Joe Egeland, responsabile per l’Onu dell’assistenza umanitaria in Siria, parla senza mezzi termini di “situazione catastrofica”.

Dalla fine di febbraio in Siria sarebbe in vigore una tregua, ma Aleppo non sa che cosa sia il silenzio delle armi. Aleppo, fra le più antiche città al mondo, citata in testi egizi di venti secoli prima di Cristo, è (ormai, era) la capitale economica del paese e la più grande città della Siria. A maggioranza sunnita, Aleppo ha una forte presenza di cristiani, compresi molti armeni. Molti di loro sono morti, tanti sono scappati. Due vescovi sono stati rapiti tre anni fa e di loro non si sa più nulla. Come scrive lo storico Andrea Riccardi, “la Chiesa di Aleppo, vedova di suoi due vescovi, è come le tante famiglie della città che hanno perso un padre, una madre, un parente e ben più d’uno”.

La battaglia di Aleppo è cominciata nel 2012 e da allora la città non ha avuto pace. Qui oggi combattono tutti i protagonisti del conflitto siriano. Un mosaico di forze, compresi quei gruppi, come il fronte al Nusra (legato ad al Qaeda) e i miliziani di Isis, che erano stati esclusi dal cessate il fuoco. Perciò il governo siriano e i suoi alleati, in primo luogo i russi, si sentono legittimati ad attaccare questi gruppi. Nessuno ha il pieno controllo della città. Ci sono settori in mano al regime e ai suoi alleati. Altri quartieri sono controllate dalle forze ribelli. Vincere ad Aleppo significherebbe potersi sedere in una posizione di forza a un eventuale tavolo di negoziato. Ammesso che ci sia questo tavolo e la volontà di sedersi.

La diplomazia, come al solito, arranca. L’inviato speciale dell’Onu per la Siria, Staffan de Mistura, usa toni catastrofici e sembra sempre più impotente che mai, tanto che una settimana fa ha citato un dato: nelle ultime 48 ore era stato ucciso un siriano ogni 25 minuti. La constatazione di un fallimento. De Mistura è volato a Mosca dove si è incontrato con il ministro degli esteri russo Sergei Lavrov. Lavrov ha detto che una estensione della tregua ad Aleppo potrebbe essere “questione di ore”. Intanto il segretario di stato americano John Kerry ha messo in guardia Assad, avvisandolo che per lui sarà impossibile ritagliarsi una fetta di territorio siriano, Aleppo compresa, sotto il suo controllo. “Per lui”, ha detto Kerry, “ho una cattiva notizia: questa guerra non finirà”.

Roberto Zichittella

Fonte:

famigliacristiana.it

4 maggio 2016

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