Nella valle del Sele, maxisgombero di braccianti immigrati


Nicola Angrisano


Oltre 60 mezzi blindati e 650 uomini tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e perfino la forestale per procedere allo sgombero coatto dell’insediamento di immigrati marocchini a San Nicola Varco, 10 km da Eboli. Quasi millecento braccianti tra i venti e i quarant’anni che faticano dodici ore al giorno per venticinque euro – meno tre che trattiene il caporale.


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Nella valle del Sele, maxisgombero di braccianti immigrati

Li aspettavamo di notte, sono arrivati alle 8 del mattino. Oltre 60 mezzi blindati e 650 uomini tra poliziotti, carabinieri, finanzieri e perfino la  forestale per procedere allo sgombero coatto dell’insediamento di immigrati marocchini a  San Nicola Varco, 10 km da Eboli. Quasi millecento braccianti tra i venti e i quarant’anni che faticano dodici ore al giorno per venticinque euro – meno tre che trattiene il caporale.  La colpa di questa comunità è di sopravvivere da oltre dieci anni in una struttura di proprietà regionale, costata miliardi di vecchie lire per la realizzazione di un mercato agroalimentare mai inaugurato. Una favela di lamiere e baracche sorte come funghi intorno alle carcasse di silos ed edifici. Pochissimi i bagni, ancor meno le docce.
San Nicola Varco è una straordinaria metafora dello sfruttamento: di fronte al ghetto si estendono a perdita d’occhio i campi e le serre delle multinazionali dell’agroalimentare, che questa manodopera sfruttano a piene mani.
Sarà per questo che le voci dello sgombero si rincorrono sin da ieri nel primo pomeriggio. E’ sembrato quasi che la Questura auspicasse la dispersione dei braccianti nel territorio. Non voleva la retata di quel 60% di immigrati irregolari che lì vivevano. Ma non per umanità: perché c’è da lavorare. Senza la manodopera marocchina si ferma l’agroindustria del Sele: ora è il tempo dei carciofi e c’è da tirar su quelle serre che ormai garantiscono raccolti a ciclo continuo, senza bisogno delle stagioni.
I lavoratori marocchini molto spesso non arrivano sui barconi, ma con un regolare visto d’ingresso. Vengono prima truffati e poi “clandestinizzati” in loco per sfruttarli al nero. E’ la stessa legge Bossi-Fini a suggerire la strada: l’unico modo per avere un visto è la chiamata nominale da parte delle aziende del settore. Che ovviamente non può che avvenire tramite intermediatori (caporali) della stessa nazionalità dei migranti. Paghi 5-6000 euro che si dividono azienda e caporale. Quando poi arrivi ed hai otto giorni per convertire il visto in permesso di soggiorno, l’azienda scompare. Conviene di più che ti riassuma clandestino e in nero. E’ una truffa che attraversa tutta l’Italia: lo scorso anno su 8000 domande verificate dalle prefetture, migliaia si riferivano ad aziende fittizie che non avevano nessuna possibilità di assumere.

Nell’operazione di oggi centocinquanta posti erano stati comunque “prenotati” nei CIE di Lamezia e Crotone. Alla fine le persone che la polizia trova nel campo sono circa duecento, quelle portate in questura per accertamenti sui documenti di soggiorno una quarantina. Li seguono gli avvocati della rete antirazzista, qualche sindacalista della Cgil, gli attivisti di Radio Vostok e InsuTv, ma al momento non si sa ancora nulla sulla loro sorte.
Di sgombero del ghetto si è cominciato a parlare più di un anno fa, quando il potentissimo (ex) assessore alle attività produttive, Andrea Cozzolino, ha reperito i finanziamenti per la realizzazione di un nuovo polo dell’agro-alimentare proprio in quella struttura. Un affare a molti zeri. E da oltre un anno si parla di progetti per ridislocare questa comunità che è diventata un caso simbolo, attraversata e raccontata da tv e giornali. Ma gli abitanti di San Nicola Varco tentennano, sono confusi, discutono, litigano anche. Ci si mettono pure i caporali, che temono di perdere la fonte di ricchezze “se te ne vai non sarai più pagato”. Così la maggior parte rimane a San Nicola, sbandata e dispersa nei campi, per vedere cosa succede.
Lo sgombero di oggi nasce da un provvedimento dell’autorità giudiziaria: un sequestro preventivo pare per ragioni di igiene e di tutela della salute. Dopo oltre un decennio. Ma ci sono altri attori che da tempo facevano pressione sul ghetto di San Nicola: proprio a fianco è nato il progetto per la realizzazione di un enorme Outlet commerciale, uno dei più grandi del mezzogiorno: il “Cilento Village”.  Centinaia di migliaia di metri quadri e un investimento immobiliare da oltre 80 milioni di euro, per una struttura che promette un fatturato di circa 60 milioni e lavoro per 500 persone. Per gli italiani, si è precisa… Un’operazione in grande stile, anche nelle zone d’ombra: per esempio nel coinvolgimento dei fratelli Negri, legati a doppio filo attraverso un fitto castello di imprese a un commercialista stabiese ampiamente citato nelle relazioni dell’antimafia…
Nomi che ricorrono in operazioni simili e sinistre come la famosa costruzione, all’inizio degli anni ’90, di Città Mercato (poi centro Auchan) a Pompei, e poi dell’Ikea di Afragola -un'operazione esemplare in cui un bene confiscato dall’antimafia al clan perdente (dei Magliulo), viene rilevato da attori economici vicini al clan vincente (dei Moccia), ripulito e infine ceduto a Ikea, con una cospicua speculazione.
Sarà ovviamente un caso ma da quando è nato il progetto dell’Outlet si sono moltiplicati anche i guai del ghetto, con un incendio dopo l’altro in pochi mesi…

Fonte: il Manifesto

11 novembre 2009

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