Nel Mali settentrionale la pace è ancora lontana


L’Osservatore Romano


Attentati a Timbuctu e a Kidal, le cui dinamiche farebbero pensare a una responsabilità dei gruppi di matrice fondamentalista islamica che l’anno scorso avevano assunto il controllo del nord del Mali.


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AttentatiMali

Quattro uomini, compresi due attentatori suicidi, sono morti sabato nell’esplosione di un’autobomba in un campo di addestramento militare a Timbuctu, nel nord del Mali, dove si conferma ancora lontana la pacificazione che diversi soggetti, interni e internazionali, avevano dichiarato raggiunta.
L’attentato, nel quale sono stati uccisi due civili impiegati nella base militare e ne sono stati feriti diversi altri, è il primo a Timbuctu dopo le elezioni che a luglio hanno portato Ibrahim Boubacar Keïta alla presidenza del Mali. Poche ore dopo, ieri, c’è stata un’altra esplosione nei pressi dell’ufficio insediato dal Programma alimentare mondiale a Kidal, sempre nel nord del Mali, per la distribuzione degli aiuti alle popolazioni. In questo caso, si ignora se vi siano state vittime.
Le dinamiche degli attentati farebbero pensare a una responsabilità dei gruppi di matrice fondamentalista islamica che l’anno scorso avevano assunto il controllo del nord del Mali, come il Movimento per l’unicità e il jihad nell’Africa occidentale (Mujao) e Al Qaeda per il Maghreb islamico (Aqmi).
Contro questi gruppi c’era poi stato un intervento armato della Francia che li aveva costretti a ritirarsi dalle città maliane settentrionali. Il successo di tale operazione militare, più volte dichiarato sia dalle nuove autorità maliane sia da quelle francesi, è peraltro tutt’altro che acquisito. Operazioni delle truppe francesi — ancora dislocate nell’area nonostante che ne fosse stato più volte annunciato il ritiro entro lo scorso aprile — sono state segnale ancora nei giorni scorsi contro miliziani del Mujao e dell’Aqmi in teritorio maliano.
Al tempo stesso, restano in armi i gruppi ribelli del nord del Mali, sia tuareg sia arabi, che la scorsa settimana hanno annunciato la sospensione dei negoziati con il Governo di Bamako, per protesta contro la mancata attuazione dell’accordo firmato lo scorso giugno a Ouagadougou, in Burkina Faso. In un comunicato congiunto, i tuareg del Movimento nazionale di liberazione dell’Azawad (Mnla) e dell’Alto Consiglio per l’Unità dell’Azawad (Hcua) e il Movimento arabo dell’Azawad (Maa), parlano di «non non rispetto degli impegni da parte del Governo maliano». Nella nota, firmata da Mossa Ag Attaher per l’Mnla, Ahmada ag Bibi per l’Hcua e Boubacar Taleb per l’Maa, si annuncia in particolare la sospensione della partecipazione dei tre gruppi al comitato a suo tempo insediato per monitorare l’applicazione degli accordi.
Tra le altre cose, i tre gruppi ribelli protagonisti dal gennaio 2012 di una crisi armata nelle regioni settentrionali chiedono la liberazione dei propri esponenti detenuti da Bamako. Al centro del contenzioso, secondo la gran parte degli osservatori, c’è comunque la questione cruciale dello statuto del nord del Mali che vede scontrarsi due posizioni diametralmente opposte. In base all’accordo di Ouagadougou, entro 60 giorni dall’entrata in carica del nuovo Governo, insediatosi il 19 settembre, le parti devono stabilire insieme lo statuto della regione.
La direzione dell’Mnla ha ribadito che accetterà nulla di meno di una piena autonomia, mentre il presidente Keïta ha più volte dichiarato che non negozierà mai su questa base.

Fonte: Osservatore Romano
30 settembre – 1 ottobre 2013

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