Negoziati con i palestinesi: Netanyahu detta le condizioni
Umberto De Giovannangeli - L'Unità
Benjamin Netanyahu prova a convincere i ministri del suo Governo che il sì ai negoziati diretti con l’Anp di Mahmud Abbas (Abu Mazen) non è un cedimento né un azzardo. Ma un rischio calcolato.
Il riconoscimento di Israele come «Stato del popolo ebraico», «una reale sicurezza per lo Stato di Israele» e uno «Stato palestinese demilitarizzato». «Un accordo significa la fine del conflitto. Se questi tre livelli di base esistono, la pace potrà essere ottenuta…Ottenerla è difficile ma possibile, possiamo sorprendere tutti quelli che dubitano». Benjamin Netanyahu prova a convincere i ministri del suo Governo che il sì ai negoziati diretti con l’Anp di Mahmud Abbas (Abu Mazen) non è un cedimento né un azzardo. Ma un rischio calcolato.
OBIETTIVI PRIORITARI «Se avrò le garanzie sulla sicurezza necessarie ad essere certi che nessun missile cadrà su Tel Aviv, sarà possibile muoversi velocemente verso un accordo complessivo», insiste il premier durante la riunione dell’esecutivo. Illustrando il modo in cui intende procedere negli incontri di Washington, il primo e il due settembre prossimi, Netanyahu sottolinea che porrà la questione della sicurezza come prioritaria, da affrontare prima di ogni discussione sui confini. Un modo per stabilire dei principi preliminari che potranno permettere, secondo il premier israeliano, di procedere rapidamente: «Voglio raggiungere -afferma- una serie di principi condivisi con la leadership palestinese in modo che non ci sarà bisogno di molte squadre di negoziatori o centinaia di incontri». Ma la strategia negoziale delineata da Netanyahu deve fare i conti con le aspettative, e le richieste, palestinesi.
IL NODO COLONIE «Se Netanyahu decide di continuare a costruire insediamenti entro i confini del 1967, allora i colloqui diretti non potranno continuare. È una posizione molto chiara», ribadisce in un'intervista alla radio militare israeliana, il capo negoziatore palestinese Saeb Erekat, aggiungendo che la ripresa dei colloqui, annunciata per il prossimo due settembre poche settimane prima della scadenza, il 26 settembre, della moratoria sulla costruzione degli insediamenti, è un test per Israele. «Se vogliono provare che ricercano la pace, ora hanno un test per farlo», dice il dirigente palestinese, esprimendo comunque la convinzione che il premier israeliano potrà dimostrarsi un partner reale per la pace. «Se dovrà scegliere tra l'occupazione e la riconciliazione, credo che sceglierà la riconciliazione», conclude Erekat. Da Ramallah a Gerusalemme. La parola di nuovo al premier dello Stato ebraico. Gli accordi di pace, ripete Netanyahu, dovranno basarsi su tre «livelli». Il primo concerne «misure di sicurezza vere e concrete per lo Stato di Israele. Il secondo riguarda il riconoscimento di Israele come «Stato del popolo ebraico», cosa che comporta la soluzione della questione dei profughi palestinesi all'interno della futura entità palestinese. Il terzo livello – conclude Netanyahu – comporta la totale smilitarizzazione del futuro Stato palestinese e la conclusione definitiva del conflitto fra i due popoli». Cambio al vertice di Tsahal La riunione domenicale del Governo affronta anche un altro tema scottante. Con un colpo di scena durante il Consiglio dei ministri, il titolare della Difesa, Ehud Barak annuncia di aver scelto il generale Yoav Galant come prossimo capo di stato maggiore delle Forze di Difesa di Israele in sostituzione di Gaby Ashkenazi, il cui mandato terminerà a febbraio. Con questa nomina -concordata pochi minuti prima con Netanyahu- Barak ha cercato fra l’altro di mettere fine a rivalità esplose ai vertici dello stato maggiore due settimane fa con la pubblicazione da parte di una rete televisiva di un documento, poi risultato falso. Nel documento veniva tracciata una elaborata strategia che, negli intenti dichiarati, avrebbe garantito la nomina di Galant all’ambita carica. Nella successiva indagine della polizia è emerso che Galant era estraneo al testo, passato peraltro negli ultimi mesi fra le mani di persone a lui ostili, fra cui lo stesso Ashkenazi. Davanti al clima avvelenato che si era creato nello stato maggiore, Barak ha rotto gli indugi e ha annunciato la nomina di Galant. Secondo molti analisti militari, la scelta del successore ha reso Ashkenazi «un'anatra zoppa», e c’è chi ritiene altamente probabili le sue dimissioni. Cinquantadue anni, Galant ha comandato le forze israeliane durante l’operazione «Piombo Fuso», la guerra lanciata contro Hamas a Gaza tra la fine di dicembre 2008 ed il gennaio successivo.
Fonte: l'Unità
23 agosto 2010