Nakba. Proteste e scioperi a 71 anni dalla catastrofe
Nena News
A 71 anni dal 1948 i palestinesi nella diaspora e nella Palestina storica commemorano l’esilio e ribadiscono la lotta per tornare. Manifestazioni nei Territori occupati, Gaza si prepara a un nuovo atto della Marcia del Ritorno. E parte la campagna contro Airbnb
Oggi a Tel Aviv si apre il secondo giorno del festival canoro Eurovision, nell’Eurovillage, una capacità di 50mila persone e una postazione molto simbolica per i palestinesi: sorge, come ricorda l’attivista israeliano Ronnie Barkan su Twitter, sui resti del villaggio palestinese di al-Sheikh Muwannis, svuotato della sua popolazione dalle milizie paramilitari sioniste nel 1948.
I suoi abitanti fuggirono a marzo, sotto attacco da parte di due delle più brutali unità sioniste, le Haganah e le Irgun, che minacciarono, saccheggiarono e rapirono alcuni dei residenti. Sono trascorsi 71 anni da allora, dalla Nakba, la catastrofe del popolo palestinese: l’80% della popolazione di allora fu costretta all’esilio, circa un milione di persone che non hanno mai fatto ritorno nelle proprie case e i propri villaggi, nonostante una risoluzione dell’Onu, la 194 del 1948 riconosca tale inalienabile diritto a ogni rifugiato e ai suoi discendenti.
Che continuano a crescere: a sette decenni dall’espulsione, oggi i palestinesi nel mondo sono 13,1 milioni. Di questi – scrive il Palestinian Center Bureau of Statistics – 6,48 vivono nella Palestina storica: 1,57 in Israele, 2,95 in Cisgiordania e Gerusalemme e 1,96 a Gaza. Il resto sono profughi, 6,02 milioni di persone per lo più concentrate nel mondo arabo e nei campi in Giordania, Siria, Libano.
Oggi, 71esimo anniversario della Nakba, come ogni anno i palestinesi nella Palestina storica e nella diaspora commemorano l’esilio. In tanti modi diversi: con marce nelle principali città della Cisgiordania, con campagne social e con scioperi. Gli occhi sono puntati sulla Striscia di Gaza, da un anno e mezzo impegnata in un’enorme mobilitazione, la Grande Marcia del Ritorno. Già ieri a Gaza si è tenuta una manifestazione di fronte agli uffici dell’Unrwa, l’agenzia Onu per i rifugiati palestinesi.
I partiti palestinesi, da Hamas al Dflp e al Pflp, hanno chiamato oggi allo sciopero generale: scuole, università, uffici pubblici resteranno chiusi. E la presenza si concentrerà, come accade dal 30 marzo 2018, lungo le linee di demarcazione con lo Stato di Israele dove stanno già arrivando i team medici di soccorso in vista della reazione repressiva israeliana, che in questi mesi ha ucciso oltre 250 manifestanti.
L’esercito israeliano si è già preparato, dispiegando forze lungo il confine con Gaza in attesa delle proteste di oggi, a poco più di una settimana dalla fine di tre giorni di campagna militare contro la Striscia. Secondo la stampa israeliana, ai soldati sono state date regole di ingaggio più severe per evitare una nuova escalation. Pronta e in allerta anche la polizia di frontiera israeliana, dispiegata a Gerusalemme e in Cisgiordania, fa sapere il portavoce della polizia Micky Rosenfeld.
Al centro della protesa oggi ci sarà il piano di pace di Trump, meglio noto come “Accordo del Secolo”, di cui ancora si sa poco ma di cui le linee generali sono state date da costanti indiscrezioni: uno Stato palestinese senza sovranità, senza Gerusalemme come capitale, privato degli spicchi di Cisgiordania dove sorgono le colonie. E nessun diritto al ritorno: “La questione di Gerusalemme e quella dei rifugiati non sono in vendita – commenta l’Olp – Il popolo palestinese non venderà i propri diritti e principi in cambio di dollari”.
A parlare da Ramallah è anche l’Autorità Nazionale Palestinese, con il premier Mohammed Shtayeeh: “Israele sta combattendo una guerra geografica confiscando le nostre terre ogni giorno. Ci sono 711mila coloni, il 24% dei residenti in Cisgiordania. Stiamo affrontando anche una guerra demografica per espellere la nostra gente da Gerusalemme. Circa 112mila palestinesi residenti a Gerusalemme vivono dall’altra parte del muro”. Per questo, aggiunge Hanan Ashrawi, membro del Comitato esecutivo dell’Olp, le misure assunte dall’amministrazione Trump stanno provocando una nuova Nakba. Da cui, aggiunge, la necessità di un fronte multilaterale che affronti l’alleanza Israele-Usa.
E, infine, l’ultima iniziativa: oggi viene lanciata la campagna contro Airbnb, la compagnia che online opera in tutto il mondo per l’affitto di case e appartamenti e che, dopo aver ritirato dal sito le abitazioni dei coloni israeliani nei Territori occupati, li ha reinseriti sotto pressione di Tel Aviv. La campagna chiede oggi a tutti gli utenti di Airbnb di disconnettere i propri account oggi 15 maggio, raccogliendo il sostegno di migliaia di persone dall’Asia al Sud America che hanno rilanciato l’iniziativa con l’hashtag #deactivateAirbnb. Nena News
15 maggio 2019