Morti e feriti, la rivolta scuote la Libia


lastampa.it


Tripoli, è il “Giorno della collera”. Migliaia in piazza: “Già 4 morti”. Appello Usa: “Ascoltare il popolo”.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Morti e feriti, la rivolta scuote la Libia

Su blog e social network, per tutta la giornata di ieri, si sono rincorse voci di incidenti in Libia. Lunghe ore di forte tensione che sono seguite a una notte di scontri, arresti, feriti e, secondo informazioni non confermate ufficialmente, anche quattro morti. Una situazione che rischia di precipitare oggi, nella "Giornata della Collera". E non è un caso che gli Stati uniti, ieri sera, abbiano chiesto alle autorità di Tripoli di andare incontro alle aspirazioni della popolazione.

Feriti a Bengasi

Sarebbero 38 le persone rimaste ferite negli scontri avvenuti fino ad ora a Bengasi. Sostenitori del colonnello Muammar Gheddafi e polizia hanno caricato i manifestanti riuniti davanti a un commissariato, per chiedere la liberazione di un attivista. A manifestare, i familiari dei detenuti uccisi nel 1996 in una sparatoria nella prigione di Abu Slim, a Tripoli: secondo Human Rights Watch, furono almeno 1.200 i prigionieri uccisi dalle forze dell'ordine, in circostanze ancora poco chiare. Da anni le famiglie, di cui la maggior parte è originaria di Bengasi, non smettono di chiedere giustizia. Gli scontri a Bengasi, secondo alcuni attivisti libici, avrebbero provocato anche quattro morti. La notizia si è diffusa su Twitter, ma non ci sono state conferme. Secondo queste fonti, la polizia avrebbe sparato sui manifestanti.

Le pressioni Usa

«I paesi della regione stanno affrontando le medesime difficoltà in materia di demografia, aspirazioni popolari e bisogno di riforme», ha dichiarato il portavoce del dipartimento di Stato americano, Philip Crowley. «Incoraggiamo questi paesi a prendere delle misure specifiche che rispondano alle aspirazioni, ai bisogni e alle speranze del loro popolo. La Libia rientra senza alcun dubbio in questa categoria», ha aggiunto il diplomatico statunitense. Crowley ha evitato di rispondere esplicitamente a chi gli chiedeva se non ritenesse Muammar Gheddafi "un dittatore". Ma il suo pensiero è emerso con chiarezza: «Non credo che sia arrivato al potere democraticamente», ha detto.

Governo contro manifestanti

Intanto, sono arrivate le prime dichiarazioni ufficiali del governo libico sulle manifestazioni: «Non permetteremo a un gruppo di persone di andare in giro di notte e di giocare con la sicurezza della Libia» riporta la Bbc online. Inoltre, lo scrittore libico Idris al-Mesmari sarebbe stato arrestato, dopo un'intervista rilasciata ad al-Jazeera.

Estremisti islamici liberati

Le autorità hanno liberato oggi 110 detenuti, appartenenti al Gruppo islamico combattente libico (Gicl); sono così 360 i "prigionieri politici" rilasciati da marzo, appartenenti a diversi gruppi islamici; tutti «hanno sposato il programma di riabilitazione, che prevede la rinuncia alla violenza e il loro reinserimento nella società libica» ha reso noto la Lega libica dei diritti dell'uomo. Il programma di riabilitazione è stato voluto da Seif Al-Islam, figlio di Gheddafi. Il Gicl aveva riaffermato nel 2007 la sua determinazione a rovesciare il regime del Colonnello per rimpiazzarlo con uno Stato islamico radicale, prima di annunciare, nello stesso anno, l'affiliazione ad al-Qaida.

Morti e scontri anche in Bahrein

È salito ad almeno quattro il numero dei manifestanti uccisi nel centro di Manama, capitale del Bahrein, in seguito all’assalto sferrato prima dell’alba dalle forze di sicurezza contro un accampamento improvvisato, dove si erano sistemati i manifestanti che da martedì protestano contro il regime monarchico assoluto del piccolo emirato. Se due dimostranti erano morti sul colpo, infatti, altri due sono deceduti poco dopo a causa delle gravi lesioni da arma da fuoco riportate al torace. Lo hanno denunciato fonti dell’opposizione sciita. I feriti accertati a causa del blitz ammontano a cinquanta. In nemmeno tre giorni le vittime della repressione sono state in tutto cinque.

Fonte: La Stampa

17 febbraio 2011

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento