Montanelli e’ morto, Biagi e Bocca pure e anche noi non stiamo tanto bene
Daniele Cerrato
Da Torino a Roma pensando a come continuare a essere giornalisti, oggi. E’ un viaggio interessante, da quando chiudono le porte dell’aereo passano solo 50 minuti ma spero bastino per mettere a fuoco qualche tema…
Da Torino a Roma pensando a come continuare a essere giornalisti, oggi. E’ un viaggio interessante, da quando chiudono le porte dell’aereo passano solo 50 minuti ma spero bastino per mettere a fuoco qualche tema. Bene ha fatto Articolo 21 a ospitare un dibattito troppo a lungo rimandato, bene hanno fatto i colleghi che mi hanno preceduto a raccontare delle nostre debolezze, dall’essere postini supini, talvolta, a solitari cronisti consumati che hanno visto travolgere le regole troppo spesso per stupirsi ancora. Oggi il dibattito sindacale somiglia tanto a quello politico e come quest’ultimo rischia di non portare lontano. Se ci penso mi ritrovo triste come Allegri. L’analisi dell’oggi è schiacciata sulle emergenze, mai così tante, e sulle loro conseguenze dirette. Stati di crisi a ripetizione vuol dire affanni personali, storie di vita, di famiglie e di speranze, da ripensare. Vuole anche dire conti in difficoltà per le troppe casse integrazioni pagate dall’Inpgi e inseguimenti faticosi di editori che non pagano i contributi per Casagit. Quest’ultimo caso, che conosco meglio, ha come complice il senso di responsabilità della nostra Cassa che, com’e’ giusto, anche quando non riceve contributi non si sottrae alle sue responsabilità nei confronti di colleghi incolpevoli dei mancati versamenti. Inoltre assicura due anni di copertura gratuita a quanti hanno la sfortuna di perdere il posto di lavoro. Ma l’analisi economica e la lista degli stati comatosi di tanti gruppi editoriali non può continuare a farci velo rispetto al problema di progettualità contrattuale e professionale. Un grande dibattito, anche etico e di appartenenza sul nostro ruolo. Una riflessione che deve prendere il posto del cahier de doleance e deve farlo al più presto: non può essere il solito rito di cui chiunque di noi è in grado di scrivere oggi il copione. Deve travolgere i normali steccati di componenti e sensibilità politiche dentro i quali ci siamo chiusi negli anni “buoni”, quelli in cui farsi “gruppetto” significava fare a spicchi la realtà e prenderne, comunque, una frazione. Dobbiamo guardare in profondità il nostro ruolo, coinvolgere la professione, la nostra capacità di rappresentare il lettore e non solo “giornalismi” assolutamente teorici, spesso mai esercitati se non come compendio più o meno culturale ad altre professioni. Vuol dire rendersi anche conto che una voce stonata riguarda tutti, da chi vende il nostro prodotto, a chi lo sostiene con il gettito pubblicitario a chi leggendo, ascoltando, cliccando ne vede, giustamente, un riparo democratico dall’autoritarismo e dal video messaggio solitario. Il nostro sguardo dovrebbe spingersi a ragionare non su quale piattaforma o giornalismo avremo domani mattina, ma su quale modello produttivo si affermerà tra due o quattro anni e con quale orgoglio sapremo affrontarlo. Non possiamo arrogarci il compito di questa lettura in via esclusiva. Quando anche questa tempesta perfetta avrà smesso di soffiare e qualcosa di diverso prenderà il posto di quanto conosciamo la differenza sarà tra l’essere parte del progetto o accontentarsi di subirlo, accettarlo. Se avessimo un Woody Allen tra noi potrebbe adattare un famoso aforisma: Montanelli e’ morto, Biagi e Bocca pure e anche noi non stiamo tanto bene. Quanti “postini”, come li chiama Corradino (ndr. Mineo) ho visto e magari ha anche accettato lui in tanti anni non lo so, oggi da parlamentare può essere d’aiuto al cambiamento con una legge seria che riveda il nostro Ordine. Se ha le forze, se è bravo come ricordo, potrebbe aiutarci a cambiare le cose. Vorrei anch’io che, come suggerisce Beppe Giulietti, la nostra non fosse una casta chiusa ma vorrei anche, e scusa Beppe se faccio i conti, che non rilanciassimo continuamente i numeri in una scala a salire che poi non possiamo mantenere in piedi. Fuor di metafora, se serve ancora un mondo di tutele intorno a noi, e giuro, serve più che mai, allora serve anche la chiarezza su chi può accedervi e restarci a pieno titolo. Se le scuole per fare giornalisti servono davvero allora debbono essere utili a chi le frequenta e non una sinecura per chi vi insegna; se queste realtà devono trovare un posto nel nostro mondo lo cerchino sul punto di saldatura tra scuola e redazione, ne siano legame vero. Da Torino a Roma per pensare a qualcosa che non sia già stato detto e’, mi rendo conto, un viaggio troppo breve. Ma per chiudere in un unico grande dibattito la confusione e il rumore di questi anni, con personaggi spesso inamovibili e grandi vecchi che non accettano di insegnare a nessuno il mestiere ne’ tantomeno lasciargli il posto, per fare un forum utile prima, un congresso di svolta poi, serve il carisma di Gandhi, la pazienza del Dalai Lama e anche tanta forza. Chissà se anche alle nostre latitudini avremo coraggio e forza per rilanciare sul piatto così tanto. E’ iniziata la discesa. Roma di notte, vista da qui, e’ un enorme albero di Natale disteso a terra. Così grande che si potrebbe pensare di risolvere tutto qui. Ma credo non basti… comunque noi ci atterriamo.
Fonte: www.articolo21.org