Momenti di introspezione del giornalismo nazionale e internazionale
Silvia Zammitti e Floriana Lenti
Da mercoledì a domenica nel capoluogo umbro si sono susseguiti incontri: di etica, delle nuove modalità di svoglimento della professione, di reportage e investigazione, di giornalismo sociale, di diritti umani, di formazione per coloro che vorrebbero far parte di questo mondo. Guarda la Fotogalley.
Momenti di introspezione del giornalismo nazionale e internazionale
di Silvia Zammitti
Si è conclusa domenica 13 aprile la seconda edizione del Festival Internazionale del Giornalismo di Perugia.
La manifestazione ha visto la partecipazione delle firme più prestigiose del giornalismo italiano e mondiale: preziose testimonianze sui diversi modi di fare giornalismo provenienti, tra gli altri, dagli Stati Uniti, dalla Gran Bretagna, dall’Africa, dalla Cina, dalla Colombia, dai Balcani, oltre che dal nostro Paese. Un’occasione per accendere i riflettori sui ’temi caldi’ che interessano la società oggi, ma anche sulle questioni dimenticate che dalle agende istituzionali.
Da mercoledì a domenica nel capoluogo umbro si sono susseguiti incontri, conferenze e dibattiti su diversi temi relativi al giornalismo: si è parlato di etica, delle nuove modalità di svoglimento della professione con l’avvento delle nuove tecnologie, di reportage e investigazione, di giornalismo sociale, di diritti umani, di formazione per coloro che vorrebbero far parte di questo ambito professionale, e di molto altro ancora.
Soprattutto si è cercato di fare autocritica da parte di chi questo mestiere lo conosce bene e lo pratica quotidianamente: è stato infatti anche un momento per riflettere su cosa rappresenta oggi il giornalismo, sulla sfiducia di molta parte dell’opinione pubblica verso chi svolge questa professione a causa dei condizionamenti forti e consolidati che la politica esercita sui media. I giornalisti che hanno presieduto i dibattiti e il pubblico che vi è intervenuto hanno insieme discusso circa l’esigenza di ottenere uno ‘sganciamento’ del giornalismo tout court e dei singoli giornalisti dalla politica, dai salotti, dagli interessi di parte, per liberare e ridare credibilità presso la gente comune a una professione che da sempre è forse la maggiore incaricata a sollecitare le coscienze e promuovere un miglioramento concreto della società civile.
Per quanto riguarda la situazione italiana, ciò significa scardinare il legame soprattutto economico che sussiste fra giornalismo e partiti politici e che rende il nostro giornalismo asfittico, fazioso e per questo limitato nel modo di interpretare e fornire le notizie al pubblico dei fruitori.
In ciò forse può venirci in aiuto un gigante del giornalismo di tutti i tempi: Carl Bernstein, che insieme a Bob Woodward ha scoperto nel ’72 gli scandali del cosidetto Watergate e che portarono alle dimissioni del presidente americano Nixon. Bernstein ha dato il suo contributo al Festival con una memorabile lezione di giornalismo (e di umiltà professionale e umana) con un importante monito rivolto a studenti e professionisti: smettere di essere i watchdog – i cani da guardia – del potere e fare invece qualcosa per metterlo in dubbio, bandire i sensazionalismi e il gossip, andare alla radice delle cose verificando l’attendibiltià delle fonti e delle notizie riportate; soprattutto saper ascoltare e andare alla ricerca di quella che egli chiama (e ha ripetuto con decisione nel suo discorso) la “best obtainable version of the truth” – una versione della verità che sia la migliore che si possa ottenere.
Infine, ma non ultimo, fare questo mestiere con profonda umiltà, che è il vero obiettivo di ogni buon giornalista insieme alla nozione di bene comune.
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Dal giornalismo sociale ai diritti umani
di Floriana Lenti
"Tutto il giornalismo deve essere investigativo, così come tutto il giornalismo deve essere sociale". Ha esordito Mauro Sarti, giornalista e docente presso l'Università di Scienze della Comunicazione di Bologna, che ha presentato (insieme a Gerardo Bombonato, presidente dell'Ordine dei Giornalisti dell'Emilia Romagna), durante il Festival Internazionale del Giornalismo, il suo manuale: "Il giornalismo Sociale". "Esistono temi sociali che spesso vengono ignorati: droga, carceri, disabilità, immigrazione… E' necessario, però, uscire dall'agenda politica e avere la capacità di mettere in rilievo tali aspetti sociali". Il tutto deve essere accompagnato da una regola d'oro: "Non far prevalere la pigrizia sulla curiosità" spiega Stefano Trasatti, dell'Agenzia Redattore Sociale che quotidianamente segue delle regole: "Ricordare il punto di vista dei soggetti deboli, non essere cinico, sapersi coinvolgere nei fatti pur rispettando il diritto di cronaca, non avere alibi".
La società va ascoltata, osservata e raccontata. Questo dovrebbe essere l'obiettivo dei giornalisti. Ne parla anche Stefano Neri, direttore del sito web isfreedom.org, che insieme a Stefano Marcelli, presidente Information Safety and Freedom e a Martin Enrico Iglesias, fondatore dell'Osservatorio, hanno presentato "Sotto pressione – Il giornalismo in Colombia prigioniero di guerriglia, narcotraffico, paramilitari e governo". E' emerso che "La Colombia è da oltre 40 anni in guerra. Dal 1997 sono stati più di 120 i giornalisti uccisi, e seppure negli ultimi tempi la situazione è un po' migliorata, la libertà di stampa e di espressione nel Paese rimane sotto minaccia costante. Una minaccia che ha molti padrini ma un solo volto: quello dell'iniquità eletta a sistema. Il giornalismo e l'informazione libera in Colombia mantengono fede al loro impegno nel lavoro ostinato di quei giornalisti e comunicatori che spesso rifiutano l'accezione di eroi".
Nel pomeriggio di domenica al centro dell'incontro la libertà di stampa, democrazia e i diritti umani. Fattori che vanno di pari passo, interdipendenti. Enzo Nucci, inviato dalla RAI sub-saharan Africa bureau chief a Nairobi, ha portato la sua testimonianza "L'Africa è uno dei continenti in cui la libertà di stampa è sempre più condizionata. In Eritrea, per esempio, si vive una condizione paradossale: non c'è nemmeno a libertà di pensiero. In Kenya si sta manifestando un fenomeno particolare: la nascita di tanti giornali locali, questo è indice di vitalità. Ma la situazione non è comunque delle migliori…". La stampa è soggetta a gravi condizionamenti. Si è parlato di censura con Ahmat Zeidane Bichara giornalista del Ciad (Africa centrale) e rifugiato politico a Parigi, con Cai Chongguo blogger dissidente politico cinese, con il responsabile di Rsf sostituto di Robert Ménard fondatore e segretario generale di Reporters sans Frontières e con Jeta Xharra direttrice di Balkan Investigative Reporting Network in Kosovo.
La censura, le leggi editoriali, le difficoltà di manifestare liberamente il proprio pensiero, si contrappongono comunque al lavoro di giornalisti che sanno osservare i fatti sociali. "Sono tante anche le associazioni che quotidianamente si battono per dar voce a chi non ce l'ha, per garantire il rispetto dei diritti umani -sottolineano Mauro Sarti ed Enzo Nucci-. Una tra queste è la Tavola della pace, che in questi giorni ha apero una campagna rivolta alla Rai per la strutturazione di un format in prima serata che parli di diritti umani".
Guarda la Photo_Gallery del Festival Internazionale del Giornalismo realizzata da Noemi Bisio e Laura Cappon.