Misurata, colpo di mortaio falcia quattro fotoreporter


Mimmo Candito


Morti due cineoperatori un inglese e un americano. Feriti altri due loro colleghi.


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Misurata, colpo di mortaio falcia quattro fotoreporter

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Bengasi – In questo dannato buco dell’inferno, ieri sono stati ammazzati anche due giornalisti. Dilaniato dai colpi di mortaio, sparati a casaccio nel cuore di Misurata, la città sotto assedio, strozzata. I racconti dei testimoni sono un rincorrersi di dettagli confusi, poco chiari. Si parla di due fotoreporter morti. Ma se della morte di Tim Hetherington, 41 anni, inglese di Liverpool, che viveva a New York e nel suo curriculum vantava pure una candidatura all’Oscar per un film-documentario, c’è la conferma, sul destino di Chris Hondros invece non c’è nulla. Bbc e New York Times riferiscono che Hondros versa in gravissime condizioni, ma non è morto. Di lui ne parliamo al presente, mentre nell’unico ospedale che Misurata si possa ancora permettere lotta per restare aggrappato alla vita.

Tim e Chris erano arrivati l’altro giorno a Misurata in quella sorta di cambio della guardia che ormai da alcune settimane si sta realizzando sulla banchina del porto tra gruppi di giornalisti che arrivano nelle città tentando di raccontare la disperata resistenza che Misurata sta opponendo all’assalto delle truppe di Gheddafi che ormai dura da 60 giorni e che richiama alla mente l’assedio di Sarajevo e quello ben più distante nel tempo di Stalingrado. Città strozzate, strangolate, affamate dalla furia degli aguzzini. E in mezzo le bombe a grappolo, la pioggia di mortai. Che sparano e colpiscono a casaccio. Non conoscono i nomi dei bersagli, il volto delle vittime. Sparano e uccidono. Fanno vittime. Come Tim. «Hetherington sanguinava moltissimo da una gamba ed era molto pallido, dopo 15 minuti dal suo arrivo i dottori della tenda montata accanto all’ospedale lo hanno dichiarato morto», ha raccontato Leila Fadel, giornalista del Washington Post, che è stata testimone dell’arrivo all’ospedale di Misurata del fotogiornalista britannico, candidato al premio Oscar per il documentario «Restrepo» su un’altra guerra, quella in Afghanistan. «Tutti erano stati feriti» ha raccontato ancora la Fadel che spiega come, con la prima ambulanza con cui i ribelli hanno portato il fotografo britannico all’ospedale nella vana speranza di salvarlo, vi fosse anche un’altra fotografa free lance di cui conosce solo il nome Katie. È stata lei a gridare all’autista dell’ambulanza: «Vieni con me». E 10 minuti dopo sono tornati con Hondros e gli altri tre fotografi feriti, ma non così gravemente. «Hondros aveva subito diverse ferite alla testa – racconta Leila Fadel – mentre i dottori esaminavano lo scan del cervello del fotografo hanno spiegato che una scheggia aveva trapassato il cranio entrando dalla fronte». «Mi hanno chiesto di reggere il suo elmetto», ha raccontato ancora la Fadel.

Tim e Chris erano arrivati da Bengasi dove erano partiti 4 giorni fa. Come tutti gli altri reporter erano arrivati dal mare; è pattugliato dalle forze navali della Nato e questo impedisce alle imbarcazioni di Gheddafi di attaccare i pescherecci carichi di aiuti e di giornalisti. Con Chris e Tim c’eravamo incontrati sulla banchina domenica, io facevo parte di un piccolo gruppo di giornalisti che aveva terminato la propria settimana di permanenza, loro «entravano» nella zona calda. Tim è un giovane uomo alto, molto alto, con la faccia scavata e con una grande qualità di relazione umana. Ci eravamo visti spesso. Ci siamo salutati con l’affetto con cui si salutano sempre i giornalisti che fanno questo dannato mestiere e mi ha chiesto direttamente quanto realmente pericolosa fosse la condizione a Misurata. Gli ho detto che i pericoli reali erano due, uno controllabile e l’altro non controllabile; quello controllabile è la linea vicina al fronte di Tripoli street e Bengasi street; più in là quello dell’imprevedibile dove fioccano le cannonate, i tiri dei cecchini, le cluster bomb. Ma non vi è zona che possa considerarsi assolutamente sicura, perché missili e mortai sono lanciati senza una direzione precisa, proprio per terrorizzare la città e piegare in qualche modo la sua resistenza. «Bada bene quando andrai verso Tripoli Street, per adesso affidati alla fortuna e speriamo che ti vada bene», ho detto a Tim. Ci siamo abbracciati naturalmente e Tim si è allontano. Per sempre.

Fonte: La Stampa

21 aprile 2011

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Libia, l'Italia invia 10 istruttori militari

«Al momento non è percorribile l'ipotesi di un attacco a terra in Libia». Lo ha detto il ministro della Difesa, Ignazio La Russa, nel corso di una conferenza stampa seguita all'incontro con il segretario di Stato alla Difesa inglese Liam Fox.

«Gli stessi insorti – ha spiegato La Russa – non auspicano un intervento a terra della coalizione internazionale, perchè non vogliono che gli altri Paesi islamici possano accusarli di avere fatto entrare i 'crociatì nella loro terra».

Il ministro ha quindi riferito di un colloquio avvenuto poco fa tra il presidente Silvio Berlusconi ed il premier inglese David Cameron. Oltre all'invio di istruttori militari, è stato anche deciso, secondo quanto riportato dal ministro, «che l'Italia darà la possibilità di rifornimento in volo agli aerei inglesi che passano dalle nostre basi. È stato inoltre deciso – ha aggiunto – di estendere l'accoglienza degli assetti Nato nelle basi italiane e verificare, a seconda dell'evoluzione della situazione, ogni eventuale ulteriore apporto si rendesse indispensabile».

«Ho rassicurato Fox – ha quindi concluso il ministro – sull'impegno italiano a proseguire l'azione che ha come obiettivo quello di dare alla Libia un governo libero e democratico».

Fonte: l'Unità 

20 aprile 2011

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