Migranti di Paesi “sicuri” di non ottenere la protezione internazionale
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I giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge.
“I giudici dovranno verificare se il Paese designato come sicuro con decreto ministeriale possa essere effettivamente considerato tale in base a quanto stabilito dalla legge”. Con queste parole Silvia Albano, presidente dell’associazione Magistratura Democratica, ha spiegato che il consueto allargamento annuale dell’elenco dei “Paesi sicuri” dovrà, come da norma, essere sottoposto al vaglio del rispetto delle fonti sovraordinate, in questo caso la normativa UE, la Costituzione e le leggi ordinarie.
All’inizio del mese il Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale, di concerto con il Ministero dell’Interno e con il Ministero della Giustizia, ha infatti ampliato la lista di questi Paesi, passandoli da 15 a 21 Paesi, con l’inserimento di Bangladesh, Sri Lanka, Camerun, Egitto, Colombia e Perù. Cosa c’è di strano in un’operazione legislativa di routine? Probabilmente la strana coincidenza per cui i primi 4 Stati corrispondono alla provenienza di molti dei migranti che giungono in Italia attraversando il Mar Mediterraneo così come quasi tutti gli altri in elenco: Albania, Algeria, Bosnia-Erzegovina, Capo Verde, Costa d’Avorio, Gambia, Georgia, Ghana, Kosovo, Macedonia del Nord, Marocco, Montenegro, Nigeria, Senegal, Serbia e Tunisia. Basta dare un’occhiata ai dati sulle nazionalità dei migranti arrivati in Italia, pubblicati dal Viminale, per comprendere quanto l’azione normativa appaia più di ordine politico che giuridico: nel 2023 sui 157mila migranti sbarcati in Italia, ben 12mila erano bengalesi e 11 mila egiziani. Pare quindi che l’esigenza sia più quella di controllare i flussi migratori che di garantire i bisogni di protezione imposti dalle convenzioni internazionali e dalla Costituzione.
Sarebbe davvero interessante poter esaminare le valutazioni alla base della scelta di inserire un Paese nell’elenco. Potremmo capire come è possibile considerare l’Egitto un Paese sicuro, nel quale sono garantiti lo stato di diritto, la tutela dei diritti umani e la libertà di espressione. Si tratta dello stesso Stato che nega la verità a Giulio Regeni, il 28enne ricercatore italiano torturato brutalmente e assassinato in un carcere de Il Cairo nel gennaio 2016, e che ha incarcerato un dissidente come Patrick Zaki. A meno che il metro di giudizio della Farnesina non sia dato dalla possibilità di fare delle paradisiache vacanze nei resort sul Mar Rosso di Sharm el-Sheik o Mars Alam, sconsigliando però caldamente la possibilità di allontanarsi dai villaggi vacanza! Tuttavia il Decreto legislativo 25/2008 che norma in materia di sicurezza dei Paesi terzi non prende in esame l’offerta turistica del territorio bensì sancisce che “uno Stato non appartenente all’Unione europea può essere considerato Paese di origine sicuro se, sulla base del suo ordinamento giuridico, dell’applicazione della legge all’interno di un sistema democratico e della situazione politica generale, si può dimostrare che, in via generale e costante, non sussistono atti di persecuzione […] né tortura o altre forme di pena o trattamento inumano o degradante, né pericolo a causa di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.
La designazione di un Paese tra i “sicuri” ha profonde conseguenze in materia di protezione internazionale. Se un migrante di quel Paese facesse oggi domanda di asilo non otterrebbe quasi certamente la protezione umanitaria in quanto l’Italia considera “sicuro” lo Stato di provenienza; l’unica possibilità è di riuscire a dimostrare dei “gravi motivi” all’origine della richiesta, sempre col rischio che questi siano ritenuti infondati. Ma non solo questo: giungere da un Paese sicuro significa tempi stretti di audizione-decisione-(eventuale) rigetto della pratica, con una evidente limitazione del diritto di difesa, e anche cadere nella possibilità di essere oggetto di allontanamento al confine, opzione introdotta dal governo Meloni e riconosciuta nel nuovo Patto UE su migrazione e asilo. Per intenderci il trasferimento nei centri italiani per l’immigrazione in Albania che questo decreto sembra “nutrire” di ospiti.
La contestazione della designazione di un Paese tra i “sicuri” è già avvenuta. La richiesta di protezione internazionale di un cittadino della Tunisia ha fornito al Tribunale dell’Aquila l’occasione per criticare la scelta dell’allora DM del 17 marzo 2023 registrando nel Paese: deterioramento del tasso di democraticità, violazione dei diritti umani e delle libertà fondamentali, magistratura non indipendente, arresti di massa, assenza di tutele per migranti, richiedenti asilo e rifugiati, seria crisi economica in atto, emergenza climatica ed ambientale in atto. Tutti elementi che inducono detto Tribunale a “addivenire, in riferimento a tale Stato, a conclusioni antitetiche a quelle offerte dell’Amministrazione” e a concedere la protezione internazionale al richiedente, avvenuta nel febbraio scorso.