Migranti e trafficanti


Nicola Tranfaglia


Per l’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (OIM), molti tra i profughi che sbarcano ogni giorno sulle coste italiane sono stati costretti a salpare con la forza.


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Per l’Organizzazione internazionale delle Migrazioni (OIM), molti tra i profughi che sbarcano ogni giorno sulle coste italiane sono stati costretti  a salpare con la forza. L’ipotesi fatta dall’OIM è che ci sia un modo per conservare il mito secondo cui le barche con cui si affrontare l’attraversamento del Mediterraneo siano sicure. A volte sono addirittura gli stessi datori di lavoro a consegnare i loro dipendenti stranieri ai trafficanti che poi li costringono a prendere il mare.

E l’aspetto peggiore del meccanismo è che anche famiglie o pezzi dello Stato si organizzano per realizzare l’affare. “Quando ho visto il mare e i gommoni gonfiabili ho chiamato il libico per dirgli:”No,non posso partire  in queste condizioni con mia moglie e mio figlio.” Lui mi ha risposto:” Tu parti, oppure morirai qui e porterò il tuo cadavere nel deserto.”

La regola è semplice: chiunque veda le barche, non può più tornare indietro.” Tschamba , 36 anni, migrante subsahariano lo ha capito solo dalla spiaggia di una delle cittadine a est di Tripoli da cui si parte: Zuwara,Sabratha e Surma le principali. I trafficanti gli avevano detto che per arrivare in Europa avrebbero dovuto attraversare the river, il fiume. Invece davanti a lui c’era il canale di Sicilia. Il mar Mediterraneo. A quel punto Tschamba avrebbe voluto fermarsi ma è stato costretto a imbarcarsi con una pistola puntata addosso.

Sono sempre più frequenti le storie di migranti forzati a partire dalla Libia alla volta dell’Italia registrate dall’operazione dell’ OIM. Si tratta di persone arrivate dall’Africa subsahariana con l’idea di fermarsi nel Paese precipitato nella guerra civile dopo la caduta di Gheddafi e trovare un lavoro. Oppure di migranti che avrebbero voluto come Tscamba tornare sui propri passi. O ancora di immigrati che dopo mesi passati in un centro di detenzione sono stati caricati su un’imbarcazione contro la loro volontà, in alcuni casi quasi senza accorgersene. In Libia si cerca di capire quanti siano quelli fatti partire con la forza.

L’OIM ha raccolto le testimonianze di chi ce l’ha fatta. I 6-700 dollari per il viaggio si pagano prima e chi salda il conto non può più cambiare idea: un passo indietro, nella logica delle organizzazioni,comporterebbe cattiva pubblicità e rischierebbe di compromettere i viaggi e quindi gli affari sicuri. Il motivo per cui ancora tanta gente  sfida la morte è che fino a pochi minuti prima di partire nessuno conosce il mezzo sul quale si raggiunge l’Italia.” Da qui sembra impossibile-spiega il portavoce italiano dell’OIM-ma chi decide di partire non ha la minima idea delle condizioni in cui si troverà ad affrontare il viaggio.”

L’ipotesi dell’OIM è che le partenze forzate siano un modo per conservare il mito secondo cui le barche con sui si parte per l’Europa siano sicure :qualunque versione differente rischia di compromettere un sistema di “buona pubblicità” ormai collaudato negli anni nonostante i naufragi che pure ci sono stati.

Il caos libico pone un nuovo enorme problema morale alle organizzazioni non governative. Non solo umanitario ma legale. Nell’ultimo report dell’OIM l’87% dei migranti in Libia si è trasferito per motivi economici mentre il 5% fuggiva da una guerra e l’8 % per altre ragioni. E in tanti  in Libia hanno provato a restare. Ma il paese di transito non conta per l’asilo. E la Libia è un inferno da cui è sempre più difficile uscire e tornare indietro: “Chi è più vulnerabile oggi,un subsahariano in Libia o un siriano all’interno di un campo profughi in Turchia?” si chiede retoricamente Di Giacomo. Una domanda a cui  è obiettivamente molto arduo rispondere.

Fonte: www.articolo21.org

23 settembre 2016

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