Migranti. "Aiutarli a casa loro"?


INTERSOS


Pochi spiccioli non basterebbero a contenere i flussi. Serve una ‘visione’ politica nuova per la cooperazione allo sviluppo. Uno studio di Intersos.


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Migranti. "Aiutarli a casa loro"?

I più poveri non “possono permettersi” di emigrare. E’ quanto rileva INTERSOS in un documento di analisi e proposta, diffuso oggi, nel quale si rileva che meno del 2 per cento dei migranti arrivati in Italia provengono dai paesi caratterizzati da condizioni di grave e diffusa povertà, vale a dire con un reddito annuo pro capite al di sotto di 1.500 dollari.

L'analisi di INTERSOS (in allegato) si fonda su dati verificabili e mira a valutare se sia possibile armonizzare le politiche di immigrazione e di cooperazione allo sviluppo per contenere i flussi migratori, le implicazioni e il tipo di impegno richiesto. A quali condizioni, cioè, possono essere valide le affermazioni “aiutiamoli direttamente a casa loro” e “apriamo i nostri cuori dato che non possiamo aprire le nostre case”.

Paradossalmente, la politica degli aiuti finalizzata a far uscire dalla poverta i paesi più bisognosi potrebbe favorire nel breve periodo un incremento e non una diminuzione dei flussi.

Ciò che scaturisce dall'analisi e che i paesi a maggiore emigrazione sono quelli con un reddito pro capite pari a circa 5.225 dollari annui, quindi nella fascia media della povertà mondiale. Salvo casi di persecuzioni o guerre, emigra chi puo permetterselo sia in termini economici sia di conoscenza, istruzione, salute, capacita di iniziativa, intraprendenza. I paesi di origine delle comunita più numerose in Italia sono infatti Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Tunisia.

Esiste indubbiamente una correlazione tra migrazioni e aiuti allo sviluppo, ma deve essere valutata con serietà, come si evince dalla lettura del rapporto. L’analisi evidenzia che la riduzione dei flussi verso l’Italia dipende, nel breve periodo, soltanto in misura estremamente limitata dall'incremento degli aiuti e della cooperazione. L’emigrazione si ridurra soltanto quando “a casa loro” si sara creato un livello di vita -economico, sociale e culturale- che soddisfi adeguatamente i bisogni e le aspirazioni personali e familiari. Pur con i limiti della semplificazione, si può affermare che soltanto quando il lavoro sarà retribuito adeguatamente (almeno quanto l’immigrato potrebbe capitalizzare nel paese di accoglienza) e quando potrà essere garantito un futuro decoroso ai figli la spinta all’emigrazione si affievolirà e inizierà al contempo quella inversa, del ritorno a casa. Quando cioe anche il livello medio di povertà, che spinge ancora ad emigrare, riuscirà ad scendere con ulteriormente. E non basterà che il reddito pro capite medio cresca, ma sarà necessario che tale aumento sia diffuso e generalizzato e non permetta il perdurare di significative sacche di miseria nel Paese.

Il problema ha due risvolti: da un lato, gli aiuti non produrranno alcun effetto positivo se continueranno ad essere ‘elemosine’ -pur significative- come sono in realtà gli attuali stanziamenti italiani per la cooperazione allo sviluppo (0,09% del Pil, il minimo storico in trent’anni di cooperazione) o se basati sulla pur valida attivazione della “detax” finalizzata a limitate azioni di solidarietà; dall’altro, occorre una visione politica e strategica lungimirante e di lunga durata, un coordinamento a livello europeo e internazionale, programmi di aiuto e coerenti politiche economiche e commerciali di sostegno per creare realmente crescita e sviluppo nelle aree più povere.

Quanto scaturisce dall'analisi è che la via maestra – l’unica vera ed efficace- è quella di mettere la cooperazione allo sviluppo al centro delle politiche internazionali e dei rapporti tra Paesi ricchi e Paesi poveri, dandole dignità con risorse e strutture operative adeguate, assicurando una severa coerenza alle scelte politiche, sostenendola con una volontà e una visione politica di grande respiro. Una svolta politica a 180 gradi, ma necessaria.

Le conclusioni del rapporto indicano 10 condizioni per un’efficace cooperazione con i paesi in via di sviluppo, anche in relazione ai flussi migratori.

L’analisi e le proposte di INTERSOS si inseriscono nell’ambito degli approfondimenti tematici di “LINK 2007-Cooperazione in Rete”.

Fonte: Intersos

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Il tema delle politiche migratorie del nostro Paese è tornato al centro del dibattito politico. Il decreto sicurezza, il reato di clandestinità, gli accordi con la Libia e i respingimenti in mare -con tutti i dubbi sul rispetto delle norme internazionali e dei diritti umani- hanno alimentato un confronto acceso, in cui sono intervenuti con forza le gerarchie ecclesiastiche, la società civile, gli organismi e le istituzioni sovranazionali. Tant’è che non pochi esponenti del governo hanno proposto di incrementare gli aiuti e la cooperazione allo sviluppo nei Paesi di provenienza dei migranti per contenere i flussi. Vale a dire: “Aiutiamoli direttamente a casa loro", "apriamo i nostri cuori dato che non possiamo aprire le nostre case". La proposta, se affrancata da strumentalizzazioni politiche e da sentimenti xenofobi, in effetti corrisponde a un principio basilare: ogni persona deve avere la possibilità di vivere e prosperare in casa propria e non essere costretta a cercare altrove garanzie di sopravvivenza propria e dei propri cari. Ma quanto è efficace? e a quali condizioni?
 
Quando gli aiuti fermano i flussi

L'analisi che segue si fonda su dati certi e verificabili e mira a valutare se sia possibile armonizzare le politiche di immigrazione e di cooperazione allo sviluppo per contenere i flussi migratori, le implicazioni e il tipo di impegno richiesto. I risultati evidenziano che la riduzione dei flussi verso l’Italia dipende, nel breve periodo, soltanto in misura molto limitata dall'incremento degli aiuti e della cooperazione. Dall'analisi quantitativa emerge che i Paesi di origine della gran parte dei migranti raramente sono beneficiari degli interventi più significativi di aiuto; anzi sono pochi quelli che rispondono ai criteri e alle priorità della cooperazione allo sviluppo. Romania, Albania, Marocco, Cina, Ucraina, Filippine, Tunisia, per citare alcune delle principali provenienze, non sono di fatto tra i Paesi più bisognosi. Tradotto in cifre: meno del 2 per cento dei migranti arrivati in Italia proviene dai Paesi caratterizzati da condizioni di grave e diffusa povertà, vale a dire con un reddito annuo pro capite al di sotto di 1.500 dollari. Paradossalmente, la politica degli aiuti finalizzata a far uscire dalla povertà i Paesi più bisognosi potrebbe favorire nel breve periodo un incremento e non una diminuzione dei flussi. Ciò che scaturisce dall'analisi è che i Paesi a maggiore emigrazione sono quelli con un reddito pro capite pari a 5.225 dollari annui, quindi nella fascia media della povertà mondiale. Salvo casi di persecuzioni o guerre, i più poveri non “possono permettersi” di emigrare. Emigra chi può permetterselo sia in termini economici sia di conoscenza, istruzione, salute, capacità di iniziativa, intraprendenza.
 
Basta con l'elemosina

Non esiste, dunque, correlazione alcuna tra aiuti allo sviluppo e migrazioni? Esiste, eccome. Ma va però valutata con serietà. Il problema ha due risvolti: da un lato, gli aiuti non produrranno alcun effetto positivo se continueranno a essere ‘elemosine’ -pur significative- come sono in realtà gli attuali stanziamenti italiani per la cooperazione allo sviluppo; dall’altro, occorre una visione politica e strategica di lunga durata, un coordinamento a livello europeo e internazionale, programmi di aiuto e coerenti politiche economiche e commerciali di sostegno per creare realmente crescita e sviluppo nelle aree più povere. L’emigrazione, quella ‘obbligata’, si ridurrà soltanto quando “a casa loro” si sarà creato un livello di vita -economico, sociale e culturale- che soddisfi adeguatamente i bisogni e le aspirazioni familiari. Pur con i limiti della semplificazione, si può affermare che soltanto quando il lavoro sarà retribuito adeguatamente (almeno quanto si potrebbe nel Paese di accoglienza) e quando potrà essere garantito un futuro decoroso ai figli la spinta all’emigrazione si affievolirà e inizierà al contempo quella inversa, del ritorno a casa. E non basterà che il reddito pro capite medio aumenti, ma sarà necessario che tale aumento medio sia diffuso e generalizzato e non permetta il perdurare di significative sacche di miseria nel Paese.
 
La svolta nella politica per la cooperazione

Per riuscire in questa impresa -ribadiamo- non basteranno certo l’attuale impegno italiano per la cooperazione allo sviluppo (0,09% del Pil, il minimo storico in trent’anni di cooperazione) e la pur valida attivazione della “detax” finalizzata a limitate azioni di solidarietà. Senza quadruplicare da subito le risorse, già dalla prossima legge di bilancio -onorando gli impegni assunti e più volte confermati- e senza una forte assunzione di responsabilità, di tutti, coerente e coordinata internazionalmente e ben al di sopra degli impegni assunti dal G8 dell’Aquila, senza cioè una visione politica di grande respiro, le intenzioni rimarranno parole, propaganda politica, che non risolveranno nulla, ma che anzi vedranno il problema acuirsi, fino a non riuscire più a governarlo. In sintesi, quanto scaturisce dall'analisi è che, sebbene determinate azioni di cooperazione allo sviluppo possano in alcuni casi avere un positivo impatto sui flussi migratori (per esempio su precisi programmi di ritorno), per rendere davvero efficaci le politiche di aiuto, anche nel rispetto di quello spirito di “aiutarli a vivere e crescere a casa loro”, la via maestra -l’unica vera ed efficace- è quella di mettere la cooperazione allo sviluppo al centro delle politiche internazionali e dei rapporti tra Paesi ricchi e Paesi poveri, dandole dignità con risorse e strutture operative adeguate e sostegno con una ‘visione’ politica. Una svolta politica a 180 gradi, ma necessaria.

Fonte: OngAgiMondo

editoriale settembre 2009

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