Marocco. La sconfitta del Fronte Polisario


Daniela Minieri


La Corte di giustizia europea ha annullato le precedenti sentenze che riconoscevano l’applicazione dell’accordo di liberalizzazione tra Rabat e Bruxelles anche ai territori del Sahara Occidentale. Polisario, giudicato non competente ad adire, ottiene quanto chiedeva.


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Il verdetto della Corte di giustizia dell’Unione europea (CGUE) è stato pronunciato il 21 dicembre 2016. La decisione della Corte ha annullato la sentenza del Tribunale europeo del dicembre 2015 che aveva concluso nel senso contrario. Per il Fronte Polisario, autore del ricorso in annullamento contro la decisione del Consiglio dell’Unione europea di concludere l’accordo di liberalizzazione, si tratta di una sconfitta tecnica dietro la quale, però, si cela una vittoria politica e giuridica importante.

Fronte Polisario/Consiglio: un tête à tête di ricorsi e annullamenti

Nel 2012 entra in vigore l’accordo concluso tra l’Unione europea e il Marocco relativo a misure di liberalizzazione reciproche per i prodotti agricoli e della pesca («accordo di liberalizzazione»). Tale accordo, il cui ambito di applicazione territoriale è il medesimo di quello dell’accordo di associazione euro-mediterraneo del 2000, è stato approvato dall’Unione europea tramite una decisione del Consiglio.

Il Fronte Polisario ha adito il Tribunale dell’Unione europea per chiedere l’annullamento di tale decisione. Con la sentenza resa il 10 dicembre 2015, l’organo giurisdizionale annulla in parte la decisione dopo aver ritenuto, innanzitutto, che gli accordi di associazione e di liberalizzazione fossero applicabili «al territorio del Regno del Marocco» e che tale espressione dovesse essere intesa, in assenza di pattuizione contraria, come comprendente il Sahara Occidentale.

Di conseguenza, in considerazione dell’applicazione di tali accordi al Sahara Occidentale, il Fronte Polisario era direttamente interessato dalla decisione del Consiglio e pertanto legittimato a chiederne l’annullamento. Il Tribunale ha cosi condannato il Consiglio per essere venuto meno al suo obbligo di esaminare, preventivamente alla conclusione dell’accordo di liberalizzazione, la presenza di indizi di uno sfruttamento delle risorse naturali del territorio del Sahara Occidentale de facto sotto il controllo marocchino che potesse svolgersi a danno dei suoi abitanti e arrecare pregiudizio ai loro diritti fondamentali.

Insoddisfatto di tale sentenza, il Consiglio l’ha immediatamente impugnata. Così, a distanza di un anno, la Corte, in via accelerata, contraddice la decisione del Tribunale rendendone nulli gli effetti.

Fronte Polisario: sconfitta o vittoria?

Tecnicamente parlando, il Fronte Polisario esce sconfitto da questo tour de force nei tribunali europei, giacché in un’ultima istanza dichiarato come non legittimato ad agire. Tuttavia, se si guarda all’impatto che la sentenza potrà avere relativamente al rispetto delle norme internazionali applicabili al territorio del Sahara Occidentale, allora il rappresentante del popolo sahrawi porta a casa una vittoria decisiva.

Questa volta, infatti, la giustizia europea sembra essere stata piuttosto chiara e concisa nell’interpretazione del diritto internazionale: a suo giudizio, in considerazione dello status separato e distinto riconosciuto al territorio del Sahara Occidentale in forza della Carta delle Nazioni Unite e del principio di autodeterminazione dei popoli, è escluso che possa ritenersi che l’espressione «territorio del Regno del Marocco», che definisce l’ambito territoriale degli accordi di associazione e di liberalizzazione, comprenda il Sahara Occidentale e, pertanto, che tali accordi siano applicabili a detto territorio.

I giudici di Lussemburgo, si spingono oltre, asserendo che, tenuto conto del parere consultivo reso dalla Corte internazionale di giustizia nel 1975 in merito al Sahara Occidentale richiesto dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, il popolo di tale territorio deve essere considerato come un terzo sul quale può incidere l’attuazione dell’accordo di liberalizzazione. Nella specie, non emerge che tale popolo abbia acconsentito a che l’accordo sia applicato al Sahara Occidentale.

Quanto alla circostanza che talune clausole degli accordi di associazione e di liberalizzazione sono state applicate «de facto» in alcuni casi ai prodotti originari del Sahara occidentale, la Corte constata che non è dimostrato che una siffatta prassi sia il frutto di un accordo tra le parti diretto a modificare l’interpretazione dell’ambito territoriale di tali accordi.

Inoltre, un’asserita volontà dell’Unione in tal senso implicherebbe l’ammissione che la stessa abbia inteso eseguire gli accordi in modo incompatibile con il principio di autodeterminazione, norma imperativa nell’apparato giuridico internazionale.

L’offensiva del Fronte Polisario: “Porre fine al finanziamento dell’occupazione”

Forte del giudizio della giurisdizione europea, il Fronte Polisario, dopo aver festeggiato nei campi di Tindouf la vittoria di dicembre, si prepara all’offensiva. Invocando il rispetto del diritto all’autodeterminazione dei popoli e delle regole internazionali applicabili ai territori non-autonomi come ricordato dai giudici europei, il movimento di liberazione nazionale chiede alle istituzioni comunitarie di agire in legalità; vale a dire, di interrompere tutte le importazioni di prodotti provenienti dai territori sotto controllo marocchino che finiscono nei panieri dei consumatori europei.

Inoltre, sempre in virtù di suddetto giudizio, il Polisario invita l’Unione europea ad avviare consultazioni con il legittimo rappresentante del popolo sahrawi al fine di negoziare circa lo sfruttamento delle risorse dei territori occupati attualmente in atto.

Ad un mese dalla pronuncia, il Polisario è cosi intenzionato a passare all’azione. Nel mirino tutte le navi battenti bandiera di uno Stato membro dell’Unione che lasciano i porti del Sahara Occidentale per raggiungere direttamente il mercato europeo. In particolare, la Key Bay, nave trasportatrice di olio di pesce partita da Laayoune, capitale del Sahara occupato, e approdata pochi giorni fa nel porto francese di Fécamp.

Deciso a far applicare la sentenza dello scorso dicembre, il Polisario intende introdurre un ricorso contro i proprietari della nave summenzionata presso la Commissione europea e le autorità doganali in Francia.

Unione europea – Marocco: un partenariato da rivedere

Le istituzioni europee hanno cercato di evitare in tutti i modi di pronunciarsi sulla sovranità marocchina sul Sahara Occidentale, spesso basandosi sulla costruzione della nozione giuridica di potenza amministrante de facto, per giustificare l’inclusione del territorio conteso negli accordi con il Marocco, il quale ha sempre optato per una politica del fatto compiuto.

Lasciando in vigore in toto gli accordi di liberalizzazione, i giudici europei hanno indirettamente salvato le relazioni diplomatiche di vecchia data tra l’Unione e il Marocco, riavviando il processo di riavvicinamento delle due sponde del Mediterraneo nel quadro di un partenariato privilegiato avanzato. Processo che si era momentaneamente congelato in seguito alla pronuncia del Tribunale europeo del 2015, percepita come un affronto dalla monarchia alawita.

Successivamente alla pubblicazione della sentenza definitiva della Corte il dicembre scorso, invece, Federica Mogherini, l’Alto Rappresentante dell’Unione, pur affermando che «il Sahara Occidentale è ancora considerato come un territorio non autonomo», e quindi non sotto la sovranità del Marocco, ha tenuto a precisare che l’Unione Europea non considera pregiudicati dalla sentenza gli accordi bilaterali UE-Marocco.

Ad ogni modo, Bruxelles è indubbiamente chiamata a rivedere e correggere la sua politica nei confronti del partner marocchino. Se per molto tempo, le istituzioni europee hanno chiuso un occhio sulla politica di integrazione del Regno delle cosiddette “Province del Sud”, d’ora in avanti, invece, dovrebbe tenerli entrambi ben aperti.

La sentenza della Corte europea sembra così inaugurare un processo di riconoscimenti “di diritto” al popolo sahrawi che si traduce politicamente nel perseguimento della sua lotta pacifica nutrita, questa volta, da una speranza che trova la sua forza nella giustizia europea.

Fonte: http://nena-news.it

3 febbraio 2017

 

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