Maria Tino aveva detto “no” su Facebook


Corriere.it


Ma la mobilitazione social non basta. Portiamola fuori


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Le tragiche storie di Maria, Antonietta e Arianna dimostrano che per sconfiggere la violenza contro le donne i social network non bastano. In una giornata qualunque di questa torrida estate un’altra donna ha perso la vita per mano di un uomo. Un’altra donna che va ad aggiungersi alla conta dello spaventoso numero di femminicidi che anche quest’anno stiamo registrando.

Quando ha aderito alla campagna su Facebook lanciata da ActionAid, Maria Tino, così come Antonietta Di Nunno e Arianna Rivara, era consapevole che la violenza contro le donne è e deve essere inaccettabile. Ma l’adesione alla campagna non poteva certamente bastare a salvarle la vita, nemmeno quando con questo gesto la sua voce si è unita a quella di altre migliaia di persone che, come lei, volevano dire con chiarezza no alla violenza sulle donne. Il suo è rimasto un grido di aiuto inascoltato, disperso nel vuoto pneumatico che Maria ha trovato attorno a sé e che le ha fatto credere che non ci fosse altra scelta che legarsi a un altro uomo «sbagliato»; che fosse giusto concedere a quello stesso uomo un’altra possibilità. Scelte sulle quali non possiamo concederci il lusso di rimandare ancora una volta una riflessione più profonda. Perché sono ormai tante, troppe, le donne che continuano a replicarle e a rimanere vittime di relazioni di potere sbilanciate tra donne e uomini.

Lo scorso 25 novembre ActionAid ha lanciato una mobilitazione sui social network invitando a cambiare l’immagine del profilo Facebook, inserendola all’interno di una cornice segnata dalla frase «No alla violenza sulle donne». Un gesto semplice che aveva come obiettivo quello di contribuire a mantenere alta l’attenzione sul tema. L’adesione di queste donne, infatti, testimonia che sensibilità e consapevolezza non bastano: servono percorsi di supporto e ascolto; servono risposte adeguate a chi denuncia la violenza e opportunità concrete di riscatto sociale ed economico; servono, soprattutto, cultura ed educazione. È indispensabile fornire interventi di supporto concreti per proteggerle. In particolare, è necessario cambiare i comportamenti delle persone e aiutare le donne ad abbattere le barriere socio-culturali che sono all’origine della violenza, identificando i cambiamenti che vorrebbero vedere nelle loro case, scuole e comunità. Perché una società in cui sempre più donne rimangono vittima dell’uomo che è o è stato quello con cui hanno scelto di condividere la propria vita, è una società in cui i rapporti tra i sessi sono profondamente squilibrati.

La sequenza di femminicidi registratasi da novembre ad oggi mostra un Paese dove diritti e dignità delle donne sono spesso calpestati e la strada per prevenire e sconfiggere la violenza contro le donne è ancora lunga, seppure i dati sull’adesione alla campagna siano stati incoraggianti: 1,4 milioni di utenti hanno modificato la loro foto del profilo per sostenere la l’iniziativa. Credo che attraverso una campagna così capillare si possa creare maggiore consapevolezza, ma è indispensabile educare al rispetto della persona e dei diritti delle donne e contrastare gli stereotipi di genere che sono alla base di una visione errata del ruolo di donne e uomini nella società.

La cronaca e le statistiche rivelano che la parità tra donne e uomini resta un traguardo lontano per tutti i Paesi, indipendentemente dal loro grado di ricchezza e sviluppo. Ancora oggi in tutto il mondo povertà e ingiustizie colpiscono le donne in modo sproporzionato a causa di squilibri di potere e di pregiudizi che superano i confini geografici, dall’Europa al più piccolo villaggio dell’India. Secondo gli ultimi dati dell’Istat, in Italia il 31,5% delle donne tra 16 e 70 anni (6 milioni e 788 mila) ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale, mentre il 16,1% ha subito stalking. Nell’Unione Europea, secondo l’ultima indagine della European Union Agency For Fundamental Rights, circa l’8 % delle donne è stata vittima di violenza fisica e/o sessuale nei 12 mesi precedenti l’intervista condotta nell’ambito dell’indagine, mentre una donna su tre ha subito una forma di violenza fisica e/o sessuale dopo i 15 anni. Più in generale, conclude l’Agenzia, nell’UE la violenza contro le donne rappresenta una violazione dei diritti umani di vaste proporzioni, che in larga misura non viene denunciata.

Ci troviamo ormai sempre più spesso di fronte a fatti di cronaca e a numeri che ci dimostrano che non c’è più tempo per stare a guardare. Non c’è più tempo per affidare la nostra rabbia per le centinaia di donne vittime di violenza nel nostro Paese ai social network. La mobilitazione deve uscire fuori dal mondo virtuale di internet, deve coinvolgere tutte le cittadine e i cittadini e, assieme a loro, le istituzioni e le forze politiche, sociali e culturali di questo Paese. Non c’è più tempo. Non possiamo aspettare un secondo di più. Perché la vita di un’altra donna vicina a noi è in pericolo.

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