Make-up di palazzo


Paola Caridi - invisiblearabs.com


Mubarak nomina Omar Suleiman suo vice, spianando la strada alla sua uscita dal potere. Ma per la piazza egiziana nulla cambia.


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Make-up di palazzo

Dunque, siamo alla cosmesi del potere. Hosni Mubarak fa un passo ulteriore, oltre quello di nominare un nuovo governo dopo aver costretto il precedente a rassegnare le dimissioni. Nomina Omar Suleiman vicepresidente dell’Egitto. Carica mai ricoperta da nessuno, da trent’anni. Era stato lo stesso Mubarak a rifiutarsi di designare il suo vicepresidente, e cioè colui che avrebbe dovuto esercitare le funzioni di presidente in caso di impossibilità da parte del vecchio Faraone. Chissà, forse per paura di un golpe di palazzo, oppure – ed è questa la tesi più accreditata – per poter sostenere la successione del suo secondogenito Gamal. Come che sia, quella sedia vuota è occupata formalmente da alcune ore da Omari Suleiman, capo dei servizi segreti, uomo chiave nella protezione di Mubarak nell’ultimo ventennio (ha praticamente sventato un attentato contro il presidente nel 1995), uomo che ha sconfitto l’estremismo jihadista in Egitto negli anni Novanta. Il generale Suleiman, però, non è solo il capo dei servizi segreti. E’ da anni il secondo uomo forte dell’Egitto. Secondo, appunto, solo a Mubarak. E’ l’uomo dei dossier difficili, dal rapporto con Israele sino alla riconciliazione palestinese. Non è, dunque, un uomo che siede ai limiti del regime. Ne fa parte al 100%. Questo è il motivo per il quale la piazza non lo vuole, tanto quanto non vuole Mubarak.

E’, cioè, l’uomo che ha gestito l’intelligence interna del paese, fatta di un esercito di informatori, dal semplice portiere alle intercettazioni telefoniche di chiunque. La gente che è scesa in piazza, dal 25 gennaio in poi, lo considera insomma l’uomo che ha gestito legge e ordine, che ha fatto in modo che il regime funzionasse, almeno nell’ultimo ventennio. Il più duro, per la popolazione egiziana.

E dunque? E dunque l’idea che circola diffusamente è che la decisione di designare Omar Suleiman come vicepresidente sia, da una parte, l’accettazione da parte di Hosni Mubarak di lasciare il potere, sia, dall’altra parte, il tentativo da parte del regime di non uscire di scena. Il dipartimento di Stato americano, è vero, ha chiesto al governo del Cairo di non fare solo cosmesi. Nello stesso tempo, però, chi ha parlato, dalla piazza, ha già fatto sapere che non crede che gli USA non entrino per nulla in questo make-up. Suleiman, infatti, è sulla falsariga di Mubarak: non si mette in questione nulla dell’alleanza con Washington, né – soprattutto – del trattato di pace con Israele. Un pilastro fondamentale nella strategia americana nella regione.

A conferma di una cosmesi tutta interna al regime, è la designazione di Ahmed Shafiq come nuovo primo ministro, generale in congedo, ex capo di stato maggiore dell’aeronautica, eroe della guerra del 1973, ex pilota sotto il comando dello stesso Mubarak. Messi gli abiti civili, Shafiq è rimasto famoso per aver ristrutturato la EgyptAir per farne il perno della politica turistica egiziana, di cui hanno fatto parte anche le recenti ristrutturazioni degli aeroporti del Cairo e di Sharm el Sheykh. Decisionista ma fedele al regime, Shafiq è stato scelto proprio per questo, per l’immagine e per la fedeltà. Quanto questo gioco riesca, è tutto da vedere.

Certo è che le ore sono decisive, e che il regime sta ricalcando, per alcuni versi, le orme di Ben Ali. Soprattutto riguardo al ruolo della polizia e dei servizi di sicurezza. I saccheggi, lo stato di anarchia descritto da molti dei testimoni egiziani credibili sembranoun tentativo, da parte delle forze di sicurezza, di distogliere l’attenzione internazionale dalla rivoluzione in piazza e di canalizzare le energie della gente nella protezione delle proprie cose e delle proprie proprietà. Se il ponte del 6 Ottobre è senza macchine, insomma, è perché la gente è tornata a casa a proteggere appartamento, strada, quartiere. Come in Tunisia.

Fonte: http://invisiblearabs.com
29 Gennaio 2011

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