Luther King, il lungo cammino di un grande sogno
Marco Impagliazzo - Avvenire
Il 28 agosto di cinquant’anni fa Martin Luther King tenne un memorabile discorso sui gradini del Lincoln Memorial a Washington, davanti a più di 250mila persone.
Il 28 agosto di cinquant’anni fa Martin Luther King tenne un memorabile discorso sui gradini del Lincoln Memorial a Washington, davanti a più di 250mila persone. Quel discorso è passato alla storia con un semplice titolo: “I have a dream”. Qual era il sogno? La conquista dei pieni diritti civili da parte dei neri americani e la fine di ogni discriminazione. La promulgazione dell’Emancipation Proclamation di cent’anni prima, il 1° gennaio 1863, e la ratifica di alcuni emendamenti alla Costituzione, sancirono l’abolizione della schiavitù, la protezione del governo federale per i diritti degli ex-schiavi e il diritto di voto. Tuttavia questi diritti non furono riconosciuti ai neri americani alla pari di quelli dei bianchi. In particolare, in molti stati del Sud, i neri americani erano ancora fortemente segregati ed era praticata la discriminazione. Il movimento per i diritti i civili (Civil Rights) fu molto lento. Ebbe idealmente inizio con la proclamazione dell’Emancipazione dei neri, ma si sviluppò in maniera significativa intorno alla metà degli anni 50 del Novecento proprio negli Stati razzisti del Sud. L’inizio viene simbolicamente identificato con il gesto di Rosa Parks, un’attivista per i diritti civili, che sfidò il divieto di sedersi nei posti riservati ai “negri” sui bus dell’Alabama (e venne per questo arrestata). Da allora, una stagione di crescente impegno da parte dei neri statunitensi e, accanto a loro, di una gran massa di bianchi. Un intenso periodo di proteste civili e non violente che dal 1961 in poi, segnato dai Freedom Rides (marce per la libertà) guidati da Martin Luther King Jr, che nel 1957 aveva fondato la Southern Christian Leadership Conference.
I Freedom Rides, e le proteste di massa a essi collegati, culminarono nella marcia su Washington del 28 agosto 1963. Qui, presso il memoriale di Lincoln – il presidente che aveva lottato per abolire la schiavitù dei neri americani e per il loro diritto di voto – Martin Luther King pronunciò quel suo storico discorso. La prima parte ripercorre la storia della lotta per i diritti dei neri d’America. La seconda è a braccio. Parole ispirate (in cui si sente l’eco della sapienza biblica), capaci di accendere gli animi delle migliaia di persone in ascolto e anche le coscienze di milioni di americani. «Ho un sogno!», scandì ripetutamente King, probabilmente su invito della cantante nera, Mahalia Jackson, che era accanto a lui. Era una rivisitazione del «sogno americano». Il sogno di una nazione, il cui compito storico è proclamare una verità semplice e fondamentale: tutti gli uomini sono creati uguali. «Dalle montagne di disperazione – proseguì King – si possono estrarre pietre di speranza per trasformare l’inarticolato vociare della nazione in una sinfonia di fraternità». Sono parole di un uomo che credeva si potesse cambiare la società della più grande democrazia del mondo. E non rimasero inascoltate. Soltanto tre mesi dopo, il Congresso americano promulgò una nuova legge sui diritti civili.
Tante cose cambiarono per gli afro-americani da quel 28 agosto. Vale la pena ricordare quelle parole, perché è a partire da visioni come quella di Martin Luther King che si costruisce il futuro della società. È l’idea che proprio da una forte crisi (despair, disse King) si possono far scaturire le energie migliori per battere la conflittualità, l’ingiustizia e la disuguaglianza. Ma tutto nasce da un sogno che mobilita coscienze e cuori, e aiuta a guardare avanti con speranza. È qualcosa che ci fa riflettere in una stagione in cui siamo tentati dal ripiegamento su noi stessi.
Recentemente il discorso di King è stato ricordato in occasione della sentenza di assoluzione di George Zimmerman, l’uomo che un anno fa ha ucciso Treyvon Martin, un ragazzo nero di 16 anni, solo perché il suo portamento lo faceva sembrare un criminale. Quell’assoluzione, assieme a tanti altri episodi, ricordati recentemente da Elena Molinari su queste pagine, mostrano come il tema dell’integrazione negli Usa ha bisogno ancora di essere portato avanti con tenacia. Ma certo di strada, da quel 28 agosto di cinquant’anni fa, ne è stata percorsa molta.
Fonte: www.avvenire.it
28 agosto 2013