Libia, la soluzione cinica


Nigrizia.it


Nella stagione del pensiero corto e della memoria azzerata, costruiamo la storia a nostro piacimento con i dettagli del presente…


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Nella stagione del pensiero corto e della memoria azzerata, costruiamo la storia a nostro piacimento con i dettagli del presente. La Libia, ad esempio, si è trasformata nel covo degli zeloti dell’apocalisse califfale.

Ogni sforzo interpretativo che tenti di superare le apparenze della narrazione dominante è soffocato dalla paura che l’infezione jihadista sbarchi nelle nostre coste. Magari con i carrettieri della morte. Ogni tentativo di leggere tra le righe o, semplicemente, di ricordare ciò che è successo negli ultimi 4 anni su quella sponda del Mediterraneo è visto come una perdita di tempo. Perché ora è il momento di agire. Con la forza. Con le armi. La ministra della difesa italiana, Roberta Pinotti, dopo aver smussato le dichiarazioni che volevano un impegno diretto del nostro paese, sotto cappello Onu, in terra libica, ha proposto una iniziativa militare sullo stile di quello che stiamo facendo con i curdi: «Contro lo Stato islamico in Libia noi possiamo metterci le armi e addestramento, altri ci mettano gli uomini». Restando pure lei vittima di un eccesso di cinismo. E confermando come gli italiani giochino più di altri un ruolo tragico in quel paese: prima l’abbiamo inventato, poi abbandonato, poi contribuito a disfare e ora lo vorremmo far riemergere dalle ceneri armando chissà quale parte in campo. Impresa impossibile. Perché la Libia, come l’abbiamo imparata a conoscere sugli atlanti, non esiste più. Dopo 42 anni di tirannia gheddafiana, i poteri formali non contano più nulla. E quelli informali sono impegnati ad arraffare ciò che vale tra Sahara e Sahel: dai traffici illegali di armi persone e droga, all’accesso alle risorse minerarie.

Al di là dei vari schieramenti in campo (il governo di Tobruk e quello di Tripoli; laico il primo, islamista vicino ai Fratelli mussulmani il secondo) e delle decine se non centinaia di bande armate che controllano più o meno grandi fette di territorio, la Libia potrebbe essere offerto come il classico esempio degli orrori occidentali, applicati nel sud del mondo. Con la complice collaborazione delle petromonarchie del Golfo e dell’Egitto (vedi la rubrica di Mostafa El Ayoubi a pag. 7). Nel 2011, Parigi e Londra sponsorizzano i bombardamenti nel paese. L’Italia si accoda. Morto Gheddafi, ottobre 2011, la Nato toglie immediatamente il disturbo. Senza disarmare le milizie e senza formare forze di sicurezza indipendenti e nazionali. Si organizzano le elezioni nel 2012. Una farsa, complice anche una legge elettorale complicata e farraginosa. Ma è noto: quando non si sa che fare in un paese al collasso si battezzano democratici i suoi cittadini e li si abbandona al loro destino. L’importante, per la comunità internazionale, era individuare un qualsiasi interlocutore legittimato da un parlamento pseudo eletto a firmare accordi utili per l’estrazione e l’esportazione dei pregiati fossili che si trovano sotto quelle sabbie.

Dopo due anni di caos, nuove elezioni nel giugno 2014, con il neo parlamento emigrato per sopravvivere nella cirenaica Tobruk. Mentre a Tripoli resiste la vecchia Assemblea uscita dal voto del 2012. La comunità internazionale rimane alla finestra. Mahmoud Jibril ex premier del governo provvisorio libico fino al 23 ottobre del 2011, in un’intervista alla Stampa del 18 febbraio, ricorda come già pochi giorni prima della sua caduta avesse «implorato la comunità internazionale a non abbandonare la Libia. Eravamo un popolo senza stato, le istituzioni erano macerie, le armi erano sparse dappertutto».

Oggi, in maniera ipocrita, ci si appella al Palazzo di Vetro affinché organizzi una missione militare in quel paese. Richiesta respinta. Ma Jibril rivela che «dall’inizio del 2012 Europa e Stati Uniti sapevano del flusso di armi in arrivo a gruppi terroristici in Libia e non hanno fatto niente. Il rappresentante dell’Onu, chiamato a monitorare l’embargo di armi nel paese, ha menzionato 21 violazioni alla riunione del Consiglio di sicurezza».

Era già tutto scritto. Previsto. Oggi, complice anche alcune milizie che si proclamano fedeli al califfo al-Baghdadi, e che storicamente sono incardinate nella cittadina cirenaica di Derna, aleggia l’incubo dello Stato islamico. Ma è solo uno dei fili di Arianna nel labirinto libico utile ad alimentare le ragioni dello schieramento interventista.

Quello che sarebbe davvero indispensabile, invece, è l’impegno diretto della comunità internazionale a fianco del popolo libico, la vera vittima del caos e delle violenze in corso. Dovrebbe imporre, oltre a un blocco effettivo della vendita di armi e di petrolio illegali, un ultimatum alle due principali parti in causa, pretendendo non solo il cessate-il-fuoco, ma anche il ritiro dai centri abitati di tutte le milizie, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza. Solo garantendo un’effettiva neutralità, la comunità internazionale avrebbe la forza per far tornare al tavolo del negoziato i contendenti. Spegnendo ogni miccia di guerra.

Fonte: www.nigrizia.it

27 febbraio 2015

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