Libia. Chi sostiene chi. E perché


Francesca La Bella - Nena News


Dopo anni di conflitto, le forze occidentali sembrano aver cambiato strategia nel contesto libico, scegliendo un approccio più diretto, influenzato da fattori economici.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Guerra in Libia

 

Provare ad analizzare la realtà libica non è mai semplice, ma nelle ultime settimane, a seguito dell’avvio dei raid statunitensi contro lo Stato Islamico a Sirte, la molteplicità di notizie ha reso ancor più complicata l’osservazione. Apparentemente, sembra, infatti, delinearsi un quadro nel quale il Governo di Accordo Nazionale (GNA) di Fayez al Sarraj sta conquistando terreno a discapito sia dei gruppi jihadisti sia degli altri attori nazionali grazie ad un vasto supporto internazionale ed, in particolare, di Stati Uniti e Italia. Sul fronte opposto, ma pur sempre in guerra contro le milizie del Califfato, troveremmo, invece, il generale Khalifa Haftar e il governo di Tobruk che, radicati nella regione della Cirenaica, avrebbero l’appoggio ufficiale dell’Egitto, ufficioso della Francia ed “in fieri” della Russia.

Dopo più di cinque anni di guerra civile e le numerose evoluzioni che la questione libica ha subito viene da chiedersi perché in questo momento le potenze occidentali, che a lungo hanno scelto una linea di condottta attentista, mantenendo un profilo di intervento celato, per quanto reale e incisivo, abbiano scelto di rendere palese la loro presenza militare nel Paese. La risposta non può essere nè sicura, nè univoca, ma diversi eventi hanno indotto un mutamento di contesto che potrebbe, seppur parzialmente, spiegare questo nuovo approccio alla vicenda libica.

A seguito della nomina del GNA ed al riconoscimento dello stesso come unico governo legittimo, numerosi passi avanti sono stati fatti da Sarraj per dare nuova linfa all’economia di esportazione libica. Per quanto il raggiungimento di una esclusiva ed effettiva capacità di controllo da parte del Gna della National Oil Corporation libica (Noc), della Banca Centrale libica e dell’Autorità libica per gli investimenti (Fondo sovrano libico-Lia) abbia consentito al Governo di Tripoli di riattivare le relazioni economiche internazionali, i deficit di sicurezza, l’offensiva dello Stato Islamico contro i terminal petroliferi e le politiche indipendenti del governo di Tobruk hanno, però, mitigato gli effetti positivi di questi cambiamenti.

Ad oggi, invece, il contesto sembra sempre più favorevole a Sarraj e al suo governo. E’ notizia di pochi giorni fa la riapertura del porto di Zueitina. Dopo che a inizio mese, nuovi scontri tra le Guardie Petrolifere fedeli a Tripoli e l’esercito di Haftar, avevano indotto ulteriori ritardi al riavvio della commercializzazione di petrolio, le due fazioni sarebbero giunte ad un accordo. A tal proposito il Noc avrebbe confermato di aver ricevuto il consenso di tutte le parti interessate per l’ingresso nel terminal di Zueitina della nave greca Nuova Hellas che, secondo gli accordi, dovrebbe trasportare circa 620.000 barili di petrolio verso la raffineria di Zawiya, per poi completare l’operazione con alcuni carichi successivi.

Parallelamente la nomina di una commissione ad interim per la gestione della Lia sembra aprire una nuova fase anche in questo settore. Le dimissioni del presidente della Lia di Tobruk Hassan Bouhadi e l’endorsement occidentale alla nuova strategia di Sarraj sembrano, infatti, aver dato nuova legittimità all’organo che gestisce i fondi sovrani (in parte ancora congelati) del Paese. L’istituzione che detiene numerose partecipazioni anche all’estero (Finmeccanica, Eni, Enel e Fiat Chrysler per citare solo le italiane) potrebbe, in questo modo avere la possibilità di utilizzare, almeno parzialmente, parte dei 67 miliardi del fondo per rilanciare gli investimenti del Paese e garantire ai partner stranieri una maggiore solidità economica.

L’importanza della Libia come mercato per l’Europa, sopratutto in ambito idrocarburi, è confermata da notizie che, a prima vista, sembrano esulare da questo contesto. Ad agosto 2015 la scoperta del più grande giacimento di gas del Mediterraneo, Zohr, da parte dell’italiana Eni al largo dell’Egitto, ha aperto nuove opportunità di investimento per le imprese che, a seguito dell’instabilità libica, avevano visto un calo delle proprie esportazioni nell’area. Con un apertura prevista per il 2017, l’amministratore delegato Eni, a inizio mese, avrebbe sottolineato il ruolo fondamentale del giacimento per creare un ponte tra Egitto, Israele, Cipro e, in futuro, Libia. Un affermazione molto significativa sopratutto se si pensa che la stessa Eni sta valutando la vendita del 40% della concessione ad una compagnia internazionale tra l’italiana Edison, Total o British Petroleum (Bp) e che sia la compagnia francese che quella britannica hanno una consistente presenza in territorio libico.

Anche in ambito geopolitico, nelle ultime settimane si è assistito ad una ridefinizione delle alleanze sul campo. A fine luglio si sarebbe svolto al Cairo un incontro, sponsorizzato dal governo degli Emirati Arabi Uniti tra Egitto e forze libiche che avrebbe visto anche la presenza di rappresentanti francesi. Questo meeting avrebbe avuto l’obiettivo di mediare tra Tripoli e Tobruk chiedendo a Sarraj di modificare alcuni membri del suo Governo e imponendo ad Haftar di concludere le proprie operazioni a Benghazi entro un mese. Queste notizie, unite alla mancata condanna egiziana dei raid statunitensi, ai quali si sono invece fermamente opposti Haftar e la Russia, e alla ritirata delle forze francesi, ancora non confermata da fonti ufficiali, da Benghazi verso Malta, potrebbero far pensare ad una convergenza delle forze internazionali a favore di un reale governo di unità nazionale.

In questo senso, se da un lato il generale Haftar sembra essere sempre più isolato nel Paese e l’appello alla Russia potrebbe essere percepito come un estremo tentativo di trovare alleati in un contesto sfavorevole, la continua ricerca di partner internazionali da parte di Sarraj mostra una debolezza strutturale dello stesso Gna.

Secondo molti analisti, infatti, il mancato investimento nella ricostruzione del Paese oltre alla percezione che il GNA sia principalmente frutto di un’ingerenza internazionale, indebolirebbero la legittimità popolare del governo e porrebbero una seria questione di stabilità per il futuro del Paese. In quest’ottica, le fratture che attraversano la Libia, se anche lo Stato Islamico dovesse essere sconfitto, potrebbero riaffiorare con forza dando legittimità ad una spartizione su base regionale del Paese. La capacità delle forze occidentali di mutare le proprie alleanze a seconda del contesto e la presenza fisica sul terreno libico, potrebbe, però, consentire loro di preservare le proprie aree di influenza nonostante la dissoluzione della Libia come Stato unitario. 

Fonte: http://nena-news.it

20 dicembre 2016

 

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento