Libia, avrebbero vinto i moderati di Jibril


Emiliano Di Silvestro - ilmanifesto.it


Deciderà il voto dei residenti all’estero. Boicottaggio fallito ma resta incandescente la questione Cirenaica. L’ex premier del Cnt propone un governo di “unità”.


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Libia, avrebbero vinto i moderati di Jibril

Sembrerebbe quasi certo: l'hanno spuntata i liberali di Mahmoud Jibril, a lungo primo ministro del Consiglio nazionale transitorio libico (Cnt), che ha respinto le accuse di «secolarismo» mossegli dai radicali invitandoli ad un governo di "unità nazionale".

Le elezioni in Libia sono state paragonate alla gioia di un matrimonio. Ci auguriamo che a prevalere non sia l'aspetto contrattuale ma le aspirazioni del popolo libico che giammai nella storia conobbero una vera ribalta. Sudditanza nei confronti dell'impero turco, oppressione quella coloniale prima e fascista in seguito, sgradevole compromesso gli anni di re Idris al-Senussi dove a decidere erano gli anglo-americani, e infine Gheddafi, che dopo un iniziale riscatto ha sfoggiato il suo lato più autenticamente antidemocratico. Ebbene, non vorremmo più tornare a sentenziare: non c'è pace per la Libia.

Il 7 luglio si è votato per l'Assemblea costituente che avrà il compito di nominare un nuovo primo ministro e un nuovo gabinetto. 200 i seggi a disposizione. 120 destinati a singole candidature, 80 a candidature afferenti ai partiti. Si era nei giorni scorsi aperta una polemica intorno alle singole candidature, ignote a molti elettori per via degli stretti tempi della campagna elettorale, circa 20 giorni. C'è da scommettere che alla fine anche i singoli candidati, che dell'Assemblea rappresentano la fetta più grande, saranno riconducibili a movimenti politici. Dei 2,8 milioni di registrati per votare, si sono recati alle urne circa 1,8 milioni di elettori, con un'affluenza del 65%.

Delle oltre 3.700 candidature, 625 erano donne; 85 singole candidate e 540 legate ai partiti. La disparità nel numero è dovuta a una legge che ha imposto ai partiti un egual numero di candidati per ambo i sessi. Una legge varata forse per scongiurare quanto accaduto nel vicino Egitto dove con l'insediamento del nuovo governo dei Fratelli musulmani la presenza femminile in parlamento è diminuita del 10% attestandosi ad un modesto 2%.

In vista delle elezioni si sono formati circa 130 partiti. Vediamo quali sono i principali.

Il Partito Giustizia e Ricostruzione, arteria politica dei Fratelli musulmani. Il suo leader è Mohammed Sawan, ex prigioniero politico originario di Misurata. Si tratta di un partito religioso che si avvale dell'Islam come quadro interpretativo della vita sociale. I Fratelli musulmani in Libia sono stati per decenni perseguitati. Gheddafi – come dichiarato in un'intervista del '95 al politologo francese François Burgat – li considerava «la destra reazionaria serva dell'America». Il loro programma prevede un forte stato assistenzialista per l'istruzione e la sanità. Sono per l'unità nazionale e contro ogni forma di federalismo.

C'è poi il Partito della Nazione «Al-Wattan». Ancor più integralista del primo, è sostenuto dai Paesi del Golfo, in particolare dal Qatar. I suoi leader sono l'Imam Ali Al-Salabi e l'ex capo del Consiglio militare di Tripoli Abdul-Hakim Belhaj. Per la riconciliazione del Paese, il partito predica il principio della "tolleranza zero" verso quanti si siano macchiati di omicidi verso il popolo libico. Promette tuttavia di rispettare il diritto internazionale, stringendo particolari rapporti con i Paesi che sin da principio hanno supportato la rivoluzione. È fortemente contrario al federalismo e spinge per la nascita di un esercito di unità nazionale in grado di garantire stabilità e sicurezza. Secondo fonti attendibili Salabi avrebbe definito «peggio di Gheddafi» il Cnt, condannando il «secolarismo estremo» del primo ministro Mahmoud Jibril, attuale presidente del Partito liberale. Abdul-Hakim Belhaj è invece noto alle cronache per aver combattuto negli anni Ottanta, la guerra antisovietica degli Usa in Afghanistan, dove migliaia di innocui contadini vennero armati contro Mosca, divenendo quelli che ora conosciamo come talebani. Tornato in patria Belhaj attentò più volte alla vita di Gheddafi. Dopo l'11 settembre 2001 le autorità libiche spiccarono un mandato di arresto nei suoi confronti bollandolo come membro di al-Qaeda. L'Interpol lo arresta nel 2004 a Kuala Lumpur, in Malesia. Londra gli negò asilo politico favorendo la sua estradizione in Libia dove lo attesero sette anni di carcere nel penitenziario di Abu Salim. Belhaj attende ora scuse ufficiali dalle autorità britanniche.

C'è poi il partito dato per vincitore del già citato Mahmoud Jibril, l'Alleanza delle forze nazionali o più semplicemente Partito liberale. Una coalizione di ben 58 partiti assai sostenuti dai libici residenti all'estero, circa un milione, che dopo insistenti richieste hanno potuto votare nelle ambasciate dei seguenti Paesi: Stati Uniti, Canada, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Germania e Gran Bretagna. I liberali si dicono fautori di un "Islam moderno" non negando tuttavia la sharia come fonte della legge. Hanno una visione globalizzata dell'economia. Sostengono la privatizzazione.

C'è infine il Fronte nazionale, un movimento di opposizione a Gheddafi attivo dal 1981 col nome di Fronte nazionale per la salvezza della Libia. È guidato da Mohammed Magaraif ed è forte sopratutto nell'est del Paese. Chiede il processo per tutte le figure legate al passato regime.

L'annosa questione della Cirenaica, che teme di dover continuare ad elemosinare a Tripoli i contributi per le infrastrutture e lo sviluppo, si è fatta incandescente allorquando dei 200 seggi a disposizione solo 60, secondo il criterio demografico scelto, sarebbero ad essa destinati. Con il fine di evitare il boicottaggio delle elezioni, il Cnt, per volere del presidente Mustapa Abdul Jalil, nella giornata del 5 luglio, con un emendamento a sorpresa, ha stabilito che i 60 membri della commissione incaricati di redigere la costituzione, 20 per ciascuna macroregione, non saranno più eletti dall'Assemblea costituente, come precedentemente stabilito, ma saranno eletti – a distanza di tre mesi dall'insediamento dell'Assemblea – direttamente dal popolo secondo una procedura che l'Assemblea medesima stabilirà.

Il Generale Hamid Hassi è il capo dell'autoproclamato Consiglio transitorio della Cirenaica (Ctc). Guida un esercito autonomo che non riconosce il ministero della Difesa del Cnt. Hassi non ha mai parlato di "secessionismo", piuttosto di "decentramento". «Tripoli deve restare la capitale» ha dichiarato. Il boicottaggio delle elezioni non c'è stato. Tuttavia su un totale di 1.554 seggi, 24 sono stati resi inagibili da uomini armati che hanno fatto irruzione dando fuoco alle schede fatte arrivare con urgenza da Dubai dopo che giovedì scorso era stato assalito e dato alle fiamme un deposito di materiale elettorale nella città di Ajdabiya. «Questo non è federalismo, – ha detto il signor Jalal Al-Barassi, un residente di Bengasi intervistato dal quotidiano locale Libya Herald – è terrorismo».

Fonte: http://nena-news.globalist.it
10 Luglio 2012

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