Le petromonarchie e la Primavera rimossa


Riccardo Cristiano - Il Mondo di Annibale


Un silenzio sempre più fitto avvolge la repressione della Primavera in Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Bahrain. Satrapie “amiche” su cui è comodo tacere.


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Le petromonarchie e la Primavera rimossa

Non meritava un po' di attenzione il caso dell'ulema saudita Nimr al-Nimr? Residente nella regione popolata dalla minoranza sciita, il Qatif, la polizia saudita lo ha gambizzato durante un'azione di marca squadrista condotta nel villaggio di al-Awwamiyya. Del caso si è occupato il ministro dell'interno del regno, ma per giustificare l'azione dei suoi, dicendo che Nimr al-Nimr era un "seminatore di voglia di sedizione".

Del Bahrain ormai non parla più nessuno, eppure recentemente Nabil Rajab, direttore del Bahrain Centre for Human Rights, è stato arrestato per via di un tweet, le autorità di Manama lo hann ritenuto "insultante". E sì che il governo del Bahrain in un anno di feroce repressione ha dimostrato di meritarlo tutto il rispetto che pretende. Tanto che lo stesso Comitato per i diritti umani delle Nazioni Unite hanno chiesto al re di rispettare almeno quel che la commissione d'inchiesta da lui stesso nominata ha raccomandato di fare davanti alla violazione dei diritti umani degli sciiti, la maggioranza della popolazione del Bahrain.

Anche gli Emirati Arabi Uniti si sono conquistati un buon silenzio mediatico, e non solo, nonostante negli ultimi mesi abbiano arrestato cinquanta attivisti dei diritti umani, ultimo della triste schiera il blogger Khalifa al Nuaaimi. Anche lì, come in Siria, all'inizio delle proteste il governo federale aveva promesso riforme, libere elezioni, e anche lì non se ne è fatto assolutamente nulla, a differenza della repressione, che col passare del tempo è diventata sempre più brutale. Joe Storck, di Human Rights Watch, ha chiesto invano a Stati Uniti e Gran Bretagna di denunciare la repressione negli Emirati Arabi Uniti. Questo spiega bene la sorpresa con cui, ormai un anno fa, commentammo la decisione della "prestigiosa" Ca' Foscari di aprirsi a diverse collaborazioni con Abdel Aziz Sager, fondatore e presidente del Gulf Research Center, docente saudita che venne presentato come libero da influenze "repressive" perché basato nella liberale Dubai (pur avendo un ufficio anche a Jeddah) .

Il silenzio su tutto questo si spiega molto bene: da una parte conviene non porsi domande su regimi "amici" e che ci riforniscono di petrolio, dall'altra giustifica le strampalate teorie sugli arabi, "popoli malati di tribalismo" ed altre idiozie del genere. E' la teoria cara agli orientalisti, quella dell'eccezionalismo arabo. E invece ci sono delle spiegazioni molto più semplici, che però si possono capire solo se della Primavera del Golfo si parla: e cioè, ad esempio, che ai monarchi e gli emiri del Golfo la democrazia non piace, per diversi motivi. Tra questi spicca il loro fastidio davanti all'ipotesi di dover dividere la torta con i loro cittadini, o ancor più semplicemente rispondere a domande inopportune sui loro "stravaganti" stili di vita.

Fonte: http://ilmondodiannibale.globalist.it
7 Agosto 2012

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