L’acqua c’è ma non si beve!
il Manifesto
L’allarme delle Nazione unite nel World Water Day. Lo sfruttamento delle risorse idriche ne impedisce l’accesso a tre miliardi persone. Per l’Onu il «valore umano dell’acqua» messo a rischio dalla speculazione economica.
«Purtroppo, l’acqua è un elemento che sulla Terra viene fin troppo spesso dato per scontato» scrivono le Nazioni Unite nel rapporto presentato ieri, in occasione del World Water Day. «Sottovalutare l’acqua è un rischio troppo grande per essere ignorato». Ecco perché nel 2021 l’Onu ha scelto di dedicare la Giornata mondiale al «valore dell’acqua», mettendo in chiaro che il valore non è il prezzo, che il valore non può essere calcolato attraverso «la contabilizzazione economica tradizionale», che spesso a tende a limitare il valore dell’acqua calcolandolo in base alle stesse modalità utilizzate per la maggior parte degli altri prodotti, ovvero il relativo prezzo o costo al momento della transazione economica.
NON PUÒ ESSERE QUESTO, per le Nazioni Unite, il caso dell’acqua. Anzi, «appare inutile tentare di confrontare dal punto di vista quantitativo il valore dell’acqua per uso domestico, il diritto umano all’acqua, le consuetudini o i credo religiosi, e il valore del mantenimento dei flussi idrici per la conservazione della biodiversità: nessuno di questi elementi dovrebbe essere sacrificato per il solo fine di definire metodologie di valutazione coerenti».
IL VALORE DELL’ACQUA, però, costituisce un elemento essenziale, perché va a definire i rapporti di potere e l’equità nella governance delle risorse idriche. Oltre a indirizzare la politica internazionale, perché il diritto umano all’acqua – riconosciuto formalmente oltre dieci anni fa – è sempre più sulla carta. Il Rapporto mondiale delle Nazioni Unite sullo sviluppo delle risorse idriche 2021 descrive un quadro desolante: se lavarsi le mani è fondamentale per contenere la diffusione del Covid-19 e di molte altre malattie infettive, quasi tre miliardi di persone in tutto il mondo non hanno questa possibilità.
Una persona su tre, secondo i dati dell’Onu, non ha infatti accesso all’acqua pulita e la situazione è destinata a peggiorare senza interventi efficaci, tanto che si stima che entro il 2050 saranno ben 5,7 miliardi le persone che vivranno in zone con carenza idrica per almeno un mese all’anno. La situazione è aggravata dall’aumento degli eventi meteorologici estremi, che hanno causato oltre il 90 per cento dei grandi disastri nell’ultimo decennio. Entro il 2040, inoltre, la domanda globale di energia dovrebbe aumentare di oltre il 25% e la domanda di acqua crescere di oltre il 50%.
I NUMERI NON SONO FREDDI se aiutano a capire che è tempo di invertire la rotta, come hanno ricordato venerdì 19 marzo i giovani di Fridays For Future scesi in piazza in tutto il mondo: l’utilizzo di acqua dolce è cresciuto di sei volte nel corso degli ultimi 100 anni e continua a crescere ad un tasso annuo pari a circa l’1% dagli anni Ottanta. In buona parte questa crescita è attribuibile alla combinazione tra crescita della popolazione, sviluppo economico e cambiamenti nei modelli di consumo. C’entrano, cioè, i nostri stili di vita. Un esempio: attualmente l’agricoltura è responsabile di circa il 69% del totale dei prelievi di acqua in tutto il mondo, per scopi irrigui ma anche per l’allevamento e l’acquacoltura. In alcuni Paesi in via di sviluppo la percentuale raggiunge addirittura il 95%. Il settore industriale (inclusa la generazione di elettricità ed energia) è invece responsabile del 19% dei prelievi.
OLTRE DUE MILIARDI DI PERSONE al mondo vivono in paesi con problemi di approvvigionamento idrico. Circa 1,6 miliardi di persone hanno a che fare con una scarsità d’acqua definita «economica»: l’acqua sarebbe fisicamente disponibile, ma mancano le infrastrutture per farla arrivare alle persone. La risposta alla domanda «chi deve investire per la realizzazione di queste infrastrutture?».
Il rapporto dell’Onu calcola l’investimento complessivo: fornire accesso universale all’acqua potabile e ai servizi igienico-sanitari in 140 Paesi a basso e medio reddito costerebbe 114 miliardi di dollari all’anno, ma – e qui entri in gioco il valore – quali sarebbero o quanto varrebbero i vantaggi sociali ed economici dell’acqua potabile, pur difficili da valutare? Spiegano l’Onu a partire da esempio come questo che «il valore dell’acqua supera di gran lunga il suo prezzo, è un valore incalcolabile per la nostra casa, la cultura, la salute, l’istruzione, l’economia o l’integrità del nostro ambiente naturale». Ecco perché la valutazione monetaria esclude o trascura aspetti che sono più difficili da monetizzare. Come quantificare i 443 milioni di giorni di scuola persi ogni anno a causa di malattie legate all’acqua? Probabilmente valgono più di 114 miliardi di dollari.
DOMENICA SCORSA ERA stato papa Francesco, nell’angelus, a richiamare l’attenzione sul diritto all’acqua: «Per noi credenti sorella acqua non è una merce: è un simbolo universale ed è fonte di vita e di salute». È tempo, cioè, di bloccare le derive che ne fanno non solo una merce ma addirittura una commodity, una materia prima su cui speculare in Borsa: è successo negli Stati Uniti a dicembre del 2020, quando la società specializzata in contratti a termine e derivati Cme ha avviato il primo mercato dei future sull’acqua di Wall Street. La denuncia è del Relatore Speciale dell’Onu sul diritto all’acqua, Pedro Arrojo-Agudo, e domenica l’European Water Movement ha lanciato un appello ad agire alle istituzioni europee affinché prendano «posizione ufficialmente contro la quotazione dell’acqua in Borsa» e dichiarino «l’acqua bene inalienabile non soggetto a mercificazione e scambio commerciale», impedendo l’accaparramento delle fonti.
Luca Martinelli
Il Manifesto
23 marzo 2021