L’accoglienza dopo il caso Diciotti
Internazionale
Conclusa l’emergenza, molti esperti sottolineano le preoccupanti novità sperimentate nel caso Diciotti che possono diventare dei precedenti significativi nel sistema di accoglienza italiano
Durante il suo viaggio di ritorno dall’Irlanda papa Francesco ha spiegato che la soluzione del caso Diciotti è stata negoziata con il ministero dell’interno italiano da alcuni alti prelati, in particolare da padre Aldo Bonaiuto, dal presidente della Conferenza episcopale italiana (Cei) Gualtiero Bassetti e da don Ivan Maffeis della Cei.
Cento migranti, dei 177 soccorsi dalla nave Ubaldo Diciotti della guardia costiera italiana, saranno presi in carico dalla Cei e dalla Caritas. Dall’hotspot di Messina i migranti saranno trasferiti nel centro di accoglienza straordinaria (Cas) di Rocca di Papa, vicino Roma, e poi saranno assegnati alle diverse diocesi italiane che si sono rese disponibili all’accoglienza.
L’intervento della Cei è stato risolutivo e ha sbloccato una situazione ferma dal 20 agosto, quando la nave aveva attraccato nel porto di Catania ma ai profughi era stato impedito di scendere su ordine del ministro Matteo Salvini, che nel frattempo è stato indagato dalla procura di Agrigento per sequestro di persona, arresto illegale e abuso d’ufficio. Hanno dato disponibilità ad accogliere i migranti anche il governo albanese e quello irlandese.
Conclusa l’emergenza, molti esperti sottolineano le preoccupanti novità sperimentate nel caso Diciotti che possono diventare dei precedenti significativi nel sistema di accoglienza italiano.
Il trasferimento verso paesi terzi fuori dell’Ue
L’Albania ha dato disponibilità ad accogliere venti richiedenti asilo, ma l’Associazione studi giuridici sull’immigrazione (Asgi) ha fatto notare che se i richiedenti asilo fossero trasferiti nel paese, che non fa parte dell’Unione europea, senza il loro consenso questo violerebbe diverse norme nazionali e internazionali. Chiara Favilli, docente di diritto dell’Unione europea all’università di Firenze, sottolinea che il trasferimento, se confermato, “sarebbe un inedito”.
L’Albania non fa parte dell’Ue e il suo sistema normativo in materia di protezione internazionale non è conforme al Sistema comune europeo di asilo. “Di solito gli accordi con stati terzi si fanno con gli stati di origine di migranti, in questo caso invece l’Albania sarebbe uno stato che non ha nessun legame con la persona. C’è solo l’interesse dello stato italiano di liberarsi di queste venti persone”, afferma Favilli. Questa procedura violerebbe il diritto d’asilo garantito in primo luogo dall’articolo 10 della costituzione italiana: “L’Italia non può trasferire la competenza di esaminare il diritto all’asilo di queste persone a uno stato terzo senza che ci sia un legame tra la persona e questo stato e contro la volontà della persona”.
“Il trasferimento dunque sarebbe illegittimo, perché l’Italia ha l’obbligo di esaminare le domande di asilo e queste persone hanno il diritto individuale di chiedere asilo in Italia se si trovano sul territorio italiano”.
Il loro diritto di chiedere asilo in Italia è riconosciuto anche dalle direttive europee (in particolare la direttiva procedure) e dal regolamento di Dublino che obbliga il paese di primo ingresso nel territorio dell’Unione a esaminare la domanda di asilo. “Nessun paese europeo ha sperimentato la procedura di trasferire i richiedenti asilo in uno stato terzo, non lo ha fatto nemmeno l’Ungheria. Definirei questa procedura abnorme al livello giuridico, a meno che non ci sia una volontà espressa dalla persona”, conclude Favilli.
L’intervento di sponsorship private
Dopo che la Conferenza episcopale italiana ha manifestato la sua disponibilità ad accogliere cento migranti sbarcati dalla nave Diciotti, si è aperto un tavolo di trattative tra il ministero dell’interno e la stessa Cei per definire un accordo ad hoc che permetta all’assemblea permanente dei vescovi italiani di farsi carico dei costi dell’accoglienza nelle strutture della Caritas. “Stiamo lavorando con il Viminale per definire questo accordo”, precisa Oliviero Forti, responsabile immigrazione della Caritas italiana.
“I migranti saranno trasferiti per pochi giorni a Rocca Di Papa prima di essere spostati in maniera definitiva nelle diocesi che hanno dato la disponibilità da Torino a Bologna, da L’Aquila a Milano”, precisa. Il modello sarà quello dei corridoi umanitari: sarà sottoscritto un protocollo attraverso il quale la Cei si farà carico dei costi dell’accoglienza e la Caritas garantirà che gli standard siano quelli del sistema di accoglienza italiano. I richiedenti asilo saranno però “incardinati nel sistema di richiesta d’asilo italiano”, precisa Forti. Faranno domanda d’asilo in Italia e le loro richieste saranno valutate dalle commissioni territoriali come in tutti gli altri casi.
“Questa soluzione ricorda la sponsorship privata, un’esperienza presente ma non molto diffusa in Italia, in cui dei privati si fanno carico dell’accoglienza e accompagnano i richiedenti asilo nel percorso d’integrazione. Chiaro è che le loro richieste d’asilo saranno incardinate nel sistema ordinario italiano”, commenta Chiara Favilli dell’Asgi. Se i richiedenti asilo chiedessero di entrare nel sistema nazionale Sprar, lo stato italiano non potrebbe rifiutare. “In generale, in tutti i paesi europei è lo stato che paga i privati per fornire i servizi di accoglienza; in questo caso, a quanto pare i privati copriranno interamente le spese dell’accoglienza”, conclude Favilli. Ma sarà necessario capire cosa prevederà il protocollo che sarà sottoscritto dal Viminale.
La mancanza di un protocollo generale
Secondo Carlotta Sami, dell’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr), finora i migranti sbarcati dalla Diciotti non hanno presentato richiesta di asilo, sono stati identificati e hanno ricevuto l’informativa legale da parte dell’Unhcr, ma senza ricevere nessuna informazione precisa sul loro futuro.
“Non ci sono informazioni specifiche né per quanto riguarda l’eventuale trasferimento in Irlanda né per quanto riguarda l’Albania”, afferma Sami. La tendenza che emerge negli ultimi mesi è di considerare ogni caso di soccorso in mare un caso a sé e negoziare soluzioni ad hoc, ma questo approccio ha diverse conseguenze negative. “Queste fasi di stallo che cominciano in mare aperto e si protraggono fino ai porti sono pericolose, ci siamo appellati a tutti gli stati europei perché si trovi un accordo su un meccanismo condiviso di salvataggio e di sbarco. La situazione della Diciotti deve essere un campanello di allarme”, commenta Sami.
Sulla vicenda si esprime anche il presidente del Consiglio italiano rifugiati (Cir) Mario Morcone, ex capo di gabinetto del Viminale. Secondo Morcone l’Italia sta rinunciando al suo ruolo sul piano internazionale: “Andare a negoziare caso per caso, situazione per situazione non ci porta da nessuna parte. L’Italia sta rinunciando al suo protagonismo in Europa soprattutto con i paesi che ci sono storicamente più vicini come la Spagna, la Francia, la Germania. Stiamo elemosinando soluzioni con paesi come l’Albania che non hanno la forza di risolvere insieme a noi una questione così importante”, afferma Morcone.
Secondo l’ex capo di gabinetto del Viminale è ormai chiaro che il governo italiano voglia percorrere la strada della contrattazione bilaterale con i singoli paesi abbandonando l’orizzonte multilaterale ed europeo: “Non mi convince; la sede europea e multilaterale rimane preferenziale per una questione come quella migratoria. Non credo che stiamo facendo gli interessi del nostro paese, l’impressione è che stiamo facendo gli interessi di una parte politica che cerca il consenso, ma questo non ci porterà molto lontano”.
Annalisa Camilli
Internazionale
28 agosto 2018