La violenza invisibile
La Stampa
Oggi è la Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne. WeWorld fotografa la situazione in Italia: «Gli abusi sono parte integrante delle dinamiche sociali»
Se per strada uno sconosciuto ti tira un ceffone o ti ruba il portafoglio, non hai bisogno di indagare il motivo del suo gesto per sapere che è sbagliato. Ma se invece ti urla dietro che cosa gli piacerebbe fare con il tuo corpo, è facile trovarsi ad affrettare il passo e chiedersi se forse non è troppo tardi per camminare da sola, se la gonna è troppo mini, il tacco troppo alto, il rossetto troppo rosso.
La cultura della violenza invisibile è subdola perché sta nelle nostre teste, condiziona comportamenti e pensieri. Non ha un freno, e diventa sempre più pericolosa.
Qualche punto percentuale di differenza tra donne e uomini c’è, ma la fotografia del nostro Paese che restituisce il report di Astraricerche, presentato ieri al Senato dalla Rete Antiviolenza del Comune di Milano e Gilead Sciences, restituisce perfettamente l’immagine dei una cultura patriarcale, così diffusa da essere data per scontata, inevitabile.
Il 40% degli uomini intervistati è convinto che non sia da considerare violenza uno schiaffo alla partner, se lei ha flirtato con un altro. E la pensa allo stesso modo anche il 20% delle donne intervistate. Forzare il proprio partner ad un rapporto sessuale, anche se si oppone o non ne ha voglia, per un italiano su tre non è violenza: a dirlo sono per il 40% uomini e per il 30% donne.
Oggi ricorre la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, e per l’organizzazione WeWorld, impegnata nella difesa di donne e bambine, ha deciso di fotografare il grado di consapevolezza della violenza sulle donne, tra le donne.
All’inizio dell’indagine è stato chiesto alle intervistate se pensavano di essere state vittime di una qualche forma di violenza o molestia in una relazione familiare o affettiva. Ma davanti a domande più specifiche, una su tre tra quelle che avevano subito di no si è dovuta ricredere.
Uno schiaffo, è violenza.
Un rapporto non voluto, pure.
Non esistono “sberle meritate”.
Eppure “non è un’emergenza, ma un problema strutturale che ci riguarda tutti e tutte, ragiona Marco Chiesara, Presidente di WeWorld. “Questi numeri raccontano come certe forme invisibili di violenza siano parte integrante di dinamiche di coppia e sociali, proprio perché mancano strumenti culturali per individuarle”.
Vittima e maltrattante sono legati dall’inconsapevolezza: non hanno gli strumentiper riconoscere il male, perché restano dentro automatismi inconsapevoli.
Alla domanda su quali siano le cause della violenza sulle donne, sul podio c’è “l’incapacità degli uomini di accettare delusioni e fallimenti e di gestire conflitti ed emozioni, l’essere condizionati da una cultura troppo patriarcale e maschilista”.
Resistono con percentuali basse ma assolutamente simili tra uomini e donne, affermazioni del tipo “le donne provocano, umiliano, si prendono troppe libertà”.
Per un cambio di rotta è fondamentale cambiare l’immagine sociale della violenza, il modo di narrarla e lavorare sulle nuove generazioni per scardinare fin dalla prima infanzia gli stereotipi. Che i maschietti non piangono e le femminucce sono più belle se sorridono. Che i ragazzi sono forti e cacciatori, e le ragazze devono essere contente se uno per strada fa un fischio.
Che gli uomini quando alzano le mani è perché amano troppo, e le donne se provocano poi non si devono lamentare.
La violenza corre su un lato inclinato, nutrendosi di stereotipi e pigrizia, sciocchezze e frasi fatte. Che vanno combattute e non sminuite, giorno dopo giorno, dai primi giorni.
Nadia Ferrigo
La Stampa
25 novembre 2021