La sfida dell’ultimo miglio al G8 è l’agricoltura!
AGI Mondo ONG
Per la prima volta l’agricoltura è al centro di un vertice degli Otto Grandi. Il rapporto Indice globale della fame illustra lo scenario che farà da sfondo al summit di aprile in Italia.
La crisi economica e finanziaria che si è manifestata nella seconda metà del 2008 -e forse non ancora con tutta la sua forza destabilizzante- rischia di indebolire la catena di sostegno cui è legata la sopravvivenza di milioni di persone. Sfiora il miliardo il numero degli affamati in tutto il mondo: con questo dato deve confrontarsi il G8 dell'Agricoltura, fortemente voluto dal ministro Luca Zaia, che si terrà a metà aprile in Veneto.
La crescita della popolazione, la concorrenza dei biocarburanti alle culture tradizionali, l'utilizzo di conoscenze e tecnologie arretrate, le conseguenze del cambiamento climatico, l'urbanizzazione, le speculazioni commerciali, le spinte protezionistiche in ambito Wto sono alcuni dei fattori che contribuiscono ad aggravare la condizione di quanti non hanno risorse economiche per potersi nutrire in modo adeguato. L'Indice globale della fame, giunto alla terza edizione e per la prima volta presentato in Italia da Link 2007, coglie anche un fattore altrettanto complesso: negli ultimi dieci anni gli investimenti in agricoltura sono via via diminuiti e gli stessi programmi di cooperazione allo sviluppo hanno trascurato a lungo proprio le aree rurali, vale a dire che la macchina degli aiuti non ha percorso l''ultimo miglio'.
Il 2009, un anno decisivo
Aumentare la produzione o migliorare la distribuzione? Gli esperti sono divisi. Il 2009 sarà, comunque, un anno importante per invertire quella che è stata la tendenza a non considerare l'agricoltura come motore di crescita. L'Italia, per la sua parte di Paese ospite e presidente di turno del G8, e in misura certamente maggiore Fao, Pam, Ifad e Ue, in quanto donatori fortemente impegnati a mitigare le conseguenza della fame e a promuovere uno sviluppo equo, devono dare prova che la cooperazione allo sviluppo e l'aiuto umanitario, insieme con altre azioni strutturali, possono davvero contribuire a centrare il più ambizioso degli Obiettivi del Millennio fissati dall'Onu: dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che patiscono la fame. Elaborato da tre organizzazioni leader nello studio delle problematiche della sicurezza alimentare -l'International Food Policy Research Institute (Ifpri) di Washington, l'ong tedesca Welthungerhilfe e l'ong irlandese Concern Worldwide- l'Indice prende in esame 120 Paesi in Asia, Africa sub-sahariana, America Latina e Caraibi. Ma nel rapporto ne sono elencati soltanto 88, perché in 32 sono stati rilevati livelli bassi di fame (è il caso dei Paesi industrializzati) o perché i dati non erano disponibili, come nei casi di Afghanistan, Somalia e Iraq. Nonostante dal 1990 siano stati compiuti passi in avanti nella lotta contro la povertà, si legge nel documento, la fame resta una piaga in Asia meridionale e in Africa subsahariana, soprattutto nei Paesi politicamente instabili e lacerati dai conflitti. Nel continente africano, Repubblica democratica del Congo ed Eritrea sono i Paesi con la percentuale più elevata di persone denutrite (rispettivamente 75 e 74 per cento della popolazione); India, Yemen e Timor Est hanno invece la più elevata percentuale di bambini sottopeso (più del 40 per cento in tutti e tre i Paesi). Sierra Leone e Angola hanno registrato i più alti tassi di mortalità nella fascia di popolazione sotto i 5 anni di età (rispettivamente 27 e 26 per cento).
Il rapporto ricorda che almeno 800 milioni di persone già prima della crisi dei prezzi non avevano garantita la sicurezza alimentare. Le famiglie indigenti nei Paesi in via di sviluppo sono oggi costrette a impegnare fino al 70 per cento delle proprie entrate per l'acquisto di cibo, a scapito delle spese mediche e dell’istruzione dei figli.
Fonte: OngAgiMondo
Editoriale Marzo 2009