Contro la perdita della prossimità


L'Osservatore Romano


Una riflessione sulla scuola durante il distanziamento sociale.


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scuola_aperto

 

Come si potrà fare non so. Ci saranno persone capaci di portare idee e proposte, forse soluzioni. Ma è impensabile per il futuro, sia prossimo che venturo, fare affidamento totale (o anche solo maggioritario) sulla scuola a distanza ossia sul lavoro online.

Sono emersi, indiscutibili, in questi mesi una serie di problemi che fanno impallidire gli entusiasmi del ministro Azzolina per il funzionamento delle classi virtuali.

Senza nulla togliere alle numerose esperienze positive (ho una nipotina di quarta elementare in una scuola pubblica che sta lavorando bene con insegnanti molto preparati per il coding), però sappiamo che un alunno su tre non è fornito di pc, ha scarsi o nulli altri mezzi per collegarsi, vive in case dove il concetto della «stanza tutta per sé» è inesistente.

Resta, poi, la considerazione più forte: la scuola è relazione, è gruppo, è comunità educante. Ho vissuto 35 anni nella scuola, mantengo contatti con ex allievi, so di aver messo passione nel trasmettere i contenuti delle mie discipline (Italiano e Storia) ma sono certa che accanto a questo c’è stata nel vissuto quotidiano una quantità di gesti, parole, emozioni, silenzi, discussioni che hanno costituito un “tempo scuola” importante quanto il lavoro su letture, questioni storiche, letteratura.

Quello che mi sento di fare dunque è un elogio della fisicità, del guardarsi in viso, del condividere uno spazio comune.

Certo, con 27 o più alunni è dura! Vuol dire che si rifletterà sulle classi pollaio! Per troppo tempo la scuola è stata spremuta, deprivata di investimenti, cenerentola nella visione politica.

Quelli che hanno patito molto in questo periodo sono i più piccoli, i bambini della scuola dell’infanzia e della primaria.

È necessario trovare soluzioni che vedano un compromesso tra la didattica, la salute e in benessere psicologico dei bambini. Sono decenni che da più parti si mette in discussione l’organizzazione della scuola italiana così com’è. Solo nella scuola dell’infanzia e primaria sono state fatte conquiste di metodo e in alcuni casi è stato reinventato totalmente il tempo scuola. L’esperienza delle Scuole nel Bosco, per esempio, ha molto da trasmettere. Ormai ampiamente diffusa sul territorio nazionale, non è ancora guardata come modello dal Miur.

Per la primaria di secondo grado e la secondaria nulla è cambiato: didattica frontale, aula-ascolto, avvicendamento degli insegnanti, pochi laboratori, pochissima didattica all’aperto. In molti paesi europei sono consolidate delle modalità di fare scuola che, mai come in questo periodo, andrebbero imitate.

Certo è necessario investire molto, ma soprattutto credere nella possibilità di fare scuola in modo diverso.

Ripensare gli spazi interni ed esterni, avere un numero non superiore a 15 alunni per classe, ripensare gli orari. Nell’immediato (settembre) ci si inventi di tutto: orari ridotti, tamponi per il personale, screening dei bambini, utilizzazione di edifici altri (parrocchie, sedi di associazioni, locali pubblici) ma si trovi un modo anche nella emergenza di far tornare i ragazzi e soprattutto i bambini a incontrarsi magari inventandosi il “gioco” di lavarsi le mani più volte durante la mattina.

 

di Giulia Alberico
18 maggio 2020
Osservatore Romano

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