La "nuova" guerra di Obama
Said Abumalwi
Priorità: Pakistan. Per stabilizzare l’Afghanistan. Ma la strategia del presidente non indica grandi novità. E si attesta sulla guerra dei droni.
La copertura delle notizie dall'Afghanistan finisce sempre per raccontar poco del fatto che, in questo quadrante del mondo, le guerre sono due. E che ormai, non solo parte del conflitto afgano si combatte in Pakistan – nella “cintura tribale” pashtun – ma una vera e propria nuova guerra deborda ormai anche fuori del teatro tradizionale della tribal belt, sconfinando oltre i distretti autonomi del Pakistan conosciuti con l'acronimo di Fata (Aree tribali sotto amministrazione federale).
Sarà sfuggito ai più ma non all'amministrazione americana la cui attenzione (e relativi finanziamenti) è concentrata su quest'aera etnicamente omogenea, tra Afghanistan e Pakistan, dove vivono le tribù che di qua si chiamano pashtun e di là pathan. Con la complicazione che le aree tribali pachistane sono i santuari dei talebani afgani e delle forze residuali di Al Qaeda: gli stranieri – arabi, ceceni, uiguri, uzbeeki – che vi elessero dimora all'epoca della caduta del regime in turbante di Kabul nel 2001. Sin dall'anno scorso, gli americani hanno concentrato la loro attenzione soprattutto sull'aera pachistana e Obama è perfettamente d'accordo con questa opzione. L'ha anzi rafforzata. E non è un caso se il suo inviato speciale, quel Richard Holbrooke famoso come negoziatore nella macelleria balcanica, ha cominciato il suo primo viaggio proprio da Islamabad per poi, prima di volare a Kabul, trasferirsi nelle riottose province tribali del confine. Dove si combattono almeno tre guerre: quella interna alle zone tribali e che ha il suo centro a Miran Shah, nel distretto del Waziristan. Quella nella valle di Swat (fuori dalle aree tribali), dov'è attivo il movimento talebano-pachistano di Beitullah Meshud, la nuova creatura della galassia jihadista con cui Islamabad è appena scesa a patti. E quella lungo la strada che porta al passo di Khyber dove transitano, sempre più con fatica, i rifornimenti che dal Pakistan devono alimentare le necessità di Isaf/Nato e delle truppe americane di stanza in Afghanistan.
Ad analizzare la nuova opzione di Obama, per quella che considera la vera sfida della politica estera americana nel 2009, non è che molto sia cambiato rispetto all'era Bush. Sì, certo, al posto di falchi come Cheney o Rumsfeld, adesso c'è anche gente come Holbrooke e la Casa bianca ascolta volentieri i sermoni di teste d'uovo come Barnett Rubin (autorevole professore universitario democratico) o Ahmed Rashid (scrittore pachistano altrettanto autorevole), ma alla Difesa c'è pur sempre Robert Gates (con lo stesso incarico nell'amministrazione Bush) e al comando militare c'è il generale David Petraeus, l'uomo del “surge” in terra irachena sperimentato con Bush. Non solo: dopo qualche esitazione Obama ha dato luce verde a un aumento di 15-17mila soldati in Afghanistan (anche se non sono i 20-30mila richiesti) ma, soprattutto, ha fatto della strategia del drone (aerei senza pilota), l'arma in cui crede di più. La stessa inaugurata l'anno scorso da Bush. In Pakistan.
Obama è noto per aver scelto una via più soft e un approccio diplomatico regionale alla questione afgano pachistana. E sembra convinto, non senza ragione, che se non si stabilizza il Pakistan (i suoi rapporti con l'India e la sua ambivalente relazione con Kabul), la stabilizzazione dell'Afghanistan è impensabile. Ma le differenze col vecchio stile non sono poi così evidenti.
Secondo il New York Times, gli americani hanno piazzato in Pakistan una task force segretissima di 70 consiglieri speciali ai quali spetta “consigliare” (leggi ordinare) ai pachistani, col conforto della Cia, come agire. Non combattono, scrive il Nyt. Ma ci sono. A dirla tutta la cifra sembra per difetto. Spetta comunque a loro guidare l'escalation della guerra del drone, aerei che partono dalle basi americane in Afghanistan e colpiscono i centri di Meshud o quelli di Jalaluddin Haqqani o anche la filiera di mullah Omar, per dar conto di tre dei vari segmenti in cui è diviso l'eterogeneo fronte insurrezionalista e le sue basi in Pakistan. Ai pachistani spetta soprattutto fornire le coordinate, raccogliere informazioni, verificare spostamenti e appuntamenti. Il problema è che il drone, animale intelligente con qualche limite, spesso sbaglia. E anziché epurare talebani uccide civili, il che crea un problema serio ai pachistani, come il capo dell'opposizione morbida al governo di Zardari – l'ex premier Nawaz Sharif – ha spiegato a Holbroooke con ancor maggior vigore dello stesso Zardari, il primo ministro in carica.
La guerra di Obama dunque si gioca soprattutto qui. Ma è una sfida i cui risultati sono ancora tutti da vedere.
Fonte: Lettera22 e Il Riformista
24 febbraio 2009