La nostra Africa
Umberto De Giovannangeli
L’ Europa è mossa dalla convinzione che nella Sponda Sud del Mediterraneo l’unica politica praticabile è quella del “male minore”. Minore rispetto al “male assoluto”, ieri al Qaeda, oggi l’Isis. E intanto continua a depredare risorse e materie prime.
Ora cambia il nome. Si “europeizza”. Ecco allora che il “Piano Marshall” per l’Africa si trasforma nel “Piano Angela”. Cambia il referente nominale, lo si aggiorna (anche perché evocare Marshall nell’era Trump è un esercizio intellettuale alquanto ardito) ma resta il fatto che nonostante quanto riaffermato dal premier Gentiloni alla recente conferenza sull’Africa del G20 a Berlino, “l’Africa è il continente del futuro comune di tutti noi”, la realtà è ben altra. Altro che approccio onnicomprensivo per il continente africano: l’amara verità è che l’Occidente, e in esso l’Europa, continua a guardare all’Africa o in termini “securisti” o come terra da depredare.
È il neocolonialismo che si ammanta di bei propositi, che evoca improbabili partnership per la crescita e la pace, ma che, alla prova dei fatti, in quell’immensa e nevralgica aerea del pianeta, è solo alla ricerca di nuovi gendarmi. Il modello di riferimento è quello turco. Poco o nulla importa ai leader europei, Merkel in testa, lo scempio di libertà operato da Recep Tayyp Erdogan in un paese da oltre nove mesi in stato d’emergenza, un paese divenuto la più grande prigione di giornalisti al mondo; l’importante è che il “Gendarme di Ankara” trattenga sul territorio turco gli oltre 2.600.000 profughi “ostaggi” siriani. Per far questo l’Europa, con l’accordo di Bruxelles, paga profumatamente la Turchia e chiude tutte e due gli occhi di fronte alla “Grande purga” messa in atto dal regime islamo-nazionalista dopo il fallito golpe del luglio scorso.
Nelle analisi dei Venti non c’è traccia alcuna di autocritica, non c’è uno straccio di radiografia di cosa sia oggi l’Africa in termini politici, di rispetto dei diritti umani e sociali: sembra un tutto indistinto, all’interno del quale, però, l’Europa, col “Piano Angela” intende incoraggiare gli investimenti nei paesi d’origine e di transito dei migranti, “sulla base di partnership specifiche, di accordi ad hoc”. Ecco, per l’appunto: gli accordi ad hoc. Come quello con la Turchia di Erdogan, bissato, sciaguratamente da quello sottoscritto dall’Italia con il “governo” che non governa la Libia del carneade Fayez al-Serray. Fuori dalla retorica buonista de “aiutiamoli a casa loro”, l’Europa è mossa dalla convinzione che nella Sponda Sud del Mediterraneo l’unica politica praticabile è quella del “male minore”. Minore rispetto al “male assoluto”, ieri al Qaeda, oggi l’Isis. La guerra al terrorismo islamista continua a giustificare tutto: stati d’emergenza, carceri riempite di oppositori (tutti tacciati di “connivenza” con i terroristi), finanziamenti a pioggia a regimi dittatoriali perché considerati un “argine” alla penetrazione jihadista.
Passa il tempo, la logica perversa e miope resta sempre quella. In nome dell’argine alla “penetrazione khomeinista”, l’Occidente armò Saddam Hussein (i gas con cui fece fuori decine di migliaia di curdi erano tedeschi) così come oggi, con la stessa logica, il “macellaio di Damasco”, Bashar al-Assad, diviene per la comunità internazionale argine all’affermazione del califfato. E tutto questo in nome della “sicurezza”. La sicurezza è l’humus culturale su cui nel mondo i peggiori autocrati giustificano lo scempio di diritti, riempiono le carceri di oppositori perché, sostengono i carnefici, attentano alla “sicurezza”. La “sicurezza” non è un valore in sé. Come non lo è il “cambiamento”. La “sicurezza” si abbina con la forza, quasi mai con la giustizia. In nome di una sicurezza minacciata, l’Occidente ha sostenuto e armato i peggiori dittatori – l’elenco sarebbe sterminato – ha alimentato conflitti, ha portato guerre, ha depredato ricchezze naturali. E ha ribaltato i ruoli. L’Europa in questo è stata e continua ad essere, maestra di ipocrisia. In nome di una “inesistente” invasione di migranti, concepisce questa umanità sofferente in fuga da guerre, povertà, sfruttamento, come “minaccia” alla nostra sicurezza e fa dei dittatori senza scrupoli i gendarmi a cui affidare il controllo delle frontiere esterne, riempendoli di soldi e garantendo loro impunità per i crimini commessi all’interno. Sicurezza e sfruttamento.
Alcuni dati: Il 70 per cento della ricchezze del mondo è detenuto dal continente africano, la produzione manifatturiera equivale all’1 per cento dell’intera produzione manifatturiera del mondo. Sull’oltre miliardo di abitanti ben 621 milioni non hanno accesso alla luce elettrica. Più o meno 800 milioni di persone non hanno accesso a Internet e l’80 per cento del commercio avviene fuori dall’Africa e non, come ci si dovrebbe aspettare, tra i paesi del continente. Ma a fronte di questa devastazione sociale, l’Europa pensa a partnership “per la sicurezza” con dittatori su cui pendono condanne per crimini contro l’umanità – uno tra i tanti, il presidente sudanese Omar Al Bashir, “inseguito” da un mandato di cattura della Corte Penale Internazionale – che quei milioni (centinaia) di euro utilizzeranno per realizzare lager e inasprire la repressione e non certo per migliorare le condizioni di vita della popolazione. L’Europa cerca di salvarsi dall’ondata di migranti affidandosi ai regimi africani, corrotti, autoritari e cleptocrati. Ogni euro, versato ai dittatori sotto la fallace voce “aiuto”, viene utilizzato per accentuare la repressione contro le popolazioni. Dal “modello turco” si passa a quello “sudanese”.
Di cosa si tratta? Il governo di Khartoum utilizza i famigerati janjaweed, miliziani sanguinari, assassini, stupratori e rapitori di bambini, per controllare i confini con la Libia e l’Egitto. A dominare sono furti e violenze: dal Sudan di Al-Bashir (2 milioni tra morti e rifugiati), al Congo di Kabila (6 milioni di morti); da Zimbabwe di Mugabe, al Sud Africa di Zuma, per non parlare dell’Eritrea del sanguinario “padre-padrone” Isaias Afewerki, presidente dell’Eritrea, un feroce dittatore che ha trasformato il paese in un immenso lager con cinque milioni di abitanti.
In Guinea equatoriale il presidente Obiang, al potere da 35 anni, nomina vice-presidente il figlio Mangue – un vizioso che colleziona auto di lusso, tra esse una Bugatti da 350 mila dollari che raggiunge i 300km/h in 12 sec. Il settimanale inglese The Economist elenca 7 paesi africani su 48 come liberi e democratici: tra essi Botswana, Namibia, Senegal, Gambia e Benin.
A tutt’oggi, i paesi europei che erigono muri e fili spinati contro gli immigrati africani continuano a depredare le materie prime dell’Africa. Non solo oro e petrolio, disponibili altrove. Sono soprattutto i minerali rari che interessano: uranio, coltano, niobium, tantalum e casserite, necessari nell’elettronica dei cellulari e in missilistica. Questa è l’Africa plasmata, e piagata, dall’Europa. E non c’è documento, piano e dichiarazione che può cancellare o oscurare questa vergogna.