La crisi più grande dal dopoguerra!


il Manifesto


Stop a «tutte le attività produttive non essenziali». Il pressing dei sindacati su Governo e Confindustria produce in serata l’annuncio del premier Conte: per frenare il contagio e la strage da Covid-19 – ieri 793 morti, record dei decessi in un giorno, e cinquemila nuovi casi – chiudono le fabbriche


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Conte

Dopo una giornata segnata da cifre tragiche e da pressioni massicce, sempre più corali, Conte si è convinto. Le attività produttive “non strettamente necessarie” saranno sospese su tutto il territorio nazionale, per ora sino al 3 aprile ma la ripresa in quella data è a dir poco ipotetica. Stessa misura per gli uffici, probabile una ulteriore stretta sui negozi anche se gli alimentari, come le farmacie non subiranno modifiche.

“Il motore del Paese rallenta ma non si ferma”, ha detto Conte nel suo ennesimo messaggio notturno al Paese. Significa che la distinzione tra attività necessarie e non sarà calibrata sino all’ultimo e solo oggi sapremo quali fabbriche chiuderanno, e quali resteranno aperte, ma anche come saranno riviste le tabelle del commercio al dettaglio ancora possibile.

La svolta è arrivata dopo un vertice in teleconferenza con imprenditori e sindacati, chiesto da questi ultimi dopo chei tre segretari, Landini, Furlan e Barbagallo avevano già scritto al premier con un messaggio secco:”Le chiediamo di chiudere tutte le attività non essenziali”.

Conte in diretta su facebook alle 23.25 ha annunciato la chiusura di tutte le attività produttive non essenziali.

Ecco i punti principali del suo discorso:

Dobbiamo resistere, è la crisi più grave dal dopoguerra.
Dobbiamo rispettare tutte le regole, anche quando sono severe.
Chi è costretto a lavorare compie un atto d’amore per l’Italia intera.
Il governo chiude su tutto il territorio nazionale ogni attività produttiva non strettamente necessaria.
Restano aperti supermercati, farmacie, banche, poste, trasporti pubblici e negozi di generi di prima necessità. Non c’è ragione di corsa agli acquisti.
Al di fuori delle attività essenziali sarà consentito solo il telelavoro.
Rallentiamo il lavoro produttivo del paese ma non lo fermiamo.
Dobbiamo essere pronti ad affrontare la fase più acuta del contagio. Uniti ce la faremo.
Gli imprenditori, che si erano sin qui opposti, hanno accettato una scelta ormai inevitabile previa garanzia che l’accezione di “attività essenziale” non sarà troppo stretta e con l’impegno a garantire liquidità.

Subito dopo il premier ha riunito i capidelegazione, con un Pd, sino a ieri mattina contrarissimo alla chiusura, ancora non convinto ma con LeU e i 5S che già da ore si erano schierati invece per la chiusura.

Ma a pesare sono stati soprattutto gli appelli dei medici di Bergamo e Brescia, di 243 sindaci del bergamasco capitanati dal primocittadino di Bergamo Gori, “E’arrivato il momento di fermarci davvero”, di numerosi governatori non solo del nord, della stessa opposizione con Salvini che si era appellato al capo dello Stato: “Ci rivolgiamo a lei perché altri non ascoltano. La prima richiesta è chiudere tutto”.

Ed è stato il pronunciamento della Lombardia, seguita a ruota da Piemonte. Proprio mentre Conte incontrava le parti sociali la Lombardia aveva deciso di procedere per conto suo,con un’ordinanza firmata ieri sera dal governatore Fontana, in vigore per ora sino al 15 aprile, che era già qualcosa in più di un semplice giro di vite. Chiusura degli uffici pubblici non essenziali, degli studi professionali dei cantieri, di ulteriori esercizi commerciali, riduzione drastica dei trasporti pubblici, divieto di attività sportive neppure da soli e nelle vicinanze di casa.

Una chiusura quasi totale anche se ai negozi di alimentari e ai supermarket, a farmacie e parafarmacie, è consentita l’apertura agli stessi negozi previsti dal dpdm dell’11 marzo. Ma le fabbriche no, quelle non erano state chiuse.

Dure invece le sanzioni previste per gli assembramenti fino a 5mila euro di multa, e molto più rigido il divieto di uscita, esteso anche alle attività sportive. Alla Lombardia si era aggiunto, poco dopo, il Piemonte.

Si era così creata una situazione tanto delicata quanto pericolosa, con il governo ormai apertamente sostituito dalle scelte delle Regioni, una catena di comando ormai inesistente e prevedibili conseguenze in termini di incretezza e caos, della quale del resto erano già state eloquente spia le ennesime code di fronte ai supermercati, nonostante le assicurazioni del governo sull’apertura degli stessi nel weekend.

Come fidarsi di impegni che possono poi essere smentiti dalle decisioni dei governi locali, come si è appunto verificato per l’apertura domenicale dei supermarket?

Ma soprattutto a convincere o costringere Conte alla scelta più drastica è stato il bollettino, le cifre tremende lette dal capo della Protezione civile Borrelli nella quotidiana conferenza stampa.

Dicono che, sequesta è una guerra, come da metafora largamente invalsa, la stiamo perdendo.

E se la Lombardia è la prima linea, la roccaforte principale è sotto assedio, a rischio di essere espugnata. I toni del sindaco di Milano questo dicono: “Dobbiamo resistere. Il crollo di Milano sarebbe un disastro”.

Il bollettino letto dal capo della Protezione civile è tragico: i morti sono 793 i nuovi contagiati 6.557. La Lombardia è flagellata: i morti qui sono 546, i nuovi casi di positività 3251.

Nelle tenebre della giornata di ieri il raggio di luce è un Paese che reagisce, come spesso capita, molto meglio del previsto.

Migliaia di medici, oltre 7.200, hanno risposto all’appello del governo, si sono offerti volontari per quella task force di 300 medici che per la Lombardia è di importanza vitale.

Il Manifesto

22 marzo 2020

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