“La Corte dell’Aja unica via per i palestinesi”


Michele Giorgio


Intervista ad Hanan Ashrawi del Comitato esecutivo dell’Olp e storica portavoce palestinese sull’approvazione della legge che regolarizza gli avamposti coloniali. «Il colpo più duro è l’indifferenza internazionale verso le politiche di Israele».


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AGGIORNAMENTO ore 11 – Il giorno dopo la bomba dell’approvazione della legge che legalizza 4mila case in avamposti coloniali (prima considerati illegali dalla stessa legislazione israeliana) continuano ad arrivare reazioni. Il meeting tra Israele e l’Unione Europea previsto per il 26 febbraio è stato rimandato a data da destinarsi, dopo le critiche mosse da alcuni paesi europei. In quell’occasione si sarebbe dovuto discutere di un ulteriore innalzamento del livello di relazioni tra le due parti ma, secondo quanto riportato dal quotidiano israeliano Haaretz, Francia, Svezia, Irlanda, Olanda e Finlandia hanno chiesto di rinviarlo a seguito del voto sulla “Regulation bill”.

Molto critiche anche le Nazioni Unite che ieri hanno definito la legge il superamento della “linea rossa” verso l’annessione della Cisgiordania. “Un pericolo precedente”, lo ha chiamato l’inviato Onu per il Medio Oriente, Nickolay Mladenov, mentre il nuovo segretario generale Guterres ha parlato di “atto fuorilegge” che viola il diritto internazionale.

Ieri, intanto, il presidente dell’Autorità Nazionale Palestinese, Mahmoud Abbas, ha parlato dell’intenzione – paventata da lungo tempo ma mai concretizzata – di rivolgersi alle corti internazionali per una condanna di Israele. “Continueremo il nostro lavoro – ha detto in riferimento alla preparazione di rapporti sulle violazioni israeliani – con le corti internazionali per proteggere la nostra esistenza e sopravvivenza sulla terra di Palestina”. Restano comunque forti dubbi: da tempo l’Anp minaccia di assumere simili misure ma ha sempre evitato di farlo.

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di Michele Giorgio – Il Manifesto

Ramallah, 8 febbraio 2017, Nena News – La sottovalutazione, se non il disinteresse, dell’Europa per la legge approvata lunedì sera dalla Knesset che ha regolarizzato retroattivamente circa 4.000 case in decine di avamposti coloniali, amplifica la soddisfazione del governo Netanyahu e della destra religiosa alla guida del paese. Il ministro Bennett, leader del partito dei coloni “Casa ebraica”, ha vinto la sua storica battaglia in fondo senza penare troppo.

Ha solo dovuto aspettare qualche anno, l’uscita di scena di Barack Obama (che in verità la colonizzazione l’ha solo frenata e mai fermata), l’ingresso nella Casa bianca dell’alleato Donald Trump e la paralisi della comunità internazionale messa a nudo il mese scorso dall’insulsa dichiarazione finale della Conferenza di Pace di Parigi alla quale il ministro degli Esteri italiano Alfano ha dichiarato con orgoglio di aver dato il suo fattivo contributo.

«È una rivoluzione», ha commentato Bennett. Ha ragione. In due settimane Israele ha autorizzato la costruzione di quasi 6.000 case nelle colonie in Cisgiordania e a Gerusalemme est, annunciato un nuovo insediamento e legalizzato 4.000 case in decine di avamposti.

E il voto della Knesset apre la strada alla estensione della sovranità israeliana alla Cisgiordania. Non su tutta, sulle colonie ma non sui centri abitati palestinesi, per evitare uno Stato binazionale con ebrei e arabi insieme, ha spiegato il ministro Ofer Akunis.

L’apartheid, avvertono anche diversi israeliani, è dietro l’angolo. Ormai è solo cronaca giornalistica il clamore suscitato a dicembre dal “colpo di coda” di Obama che non bloccò con il veto l’approvazione da parte del Consiglio di Sicurezza Onu della risoluzione 2334 che ha riaffermato lo status di territori occupati per Cisgiordania, Gaza e Gerusalemme Est e condannato la colonizzazione. La leadership palestinese intanto è debole, balbetta, non è in grado di elaborare una strategia politica degna di questo nome.

«Questa legge israeliana è inaccettabile», dice Nabil Abu Rudeina, portavoce del presidente Abu Mazen. Un po’ poco. Non sorprende l’amarezza sul volto di Hanan Ashrawi, membro del Comitato esecutivo dell’Olp e, più di tutto, storica portavoce palestinese durante la prima Intifada e la Conferenza di Madrid. Scuote la testa Ashrawi: «Il colpo più duro – ci dice – è l’atteggiamento internazionale verso tutto questo».

Cosa potrebbero fare i palestinesi?

Dobbiamo ridefinire la nostra politica e ripensare alle relazioni con Israele. Sappiamo che questo potrebbe costarci caro ma non possiamo rimanere con le mani in mano. E se gli Usa e l’Europa non faranno la loro parte per fermare l’escalation messa in moto dal governo Netanyahu, la strada da percorrere è quella della giustizia internazionale e del ricorso alla Corte penale dell’Aja.

Appaiono però rituali gli appelli che i palestinesi lanciano ogni volta alla comunità internazionale. Non sembrano produrre un granché.

Non possiamo che continuare a rivolgerci all’Onu e invocare la giustizia internazionale. Non dobbiamo stancarci di reclamare i nostri diritti anche se il mondo volge lo sguardo da un’altra parte. I nostri diritti non sono meno importanti di quelli degli israeliani.

Alcuni dirigenti palestinesi hanno minacciato l’annullamento del riconoscimento di Israele fatto dall’Olp venti anni fa. È una possibilità che ritiene concreta?

Tutto è possibile, questa e altre opzioni. Dobbiamo mettere insieme un piano che contempli le diverse possibilità a nostra disposizione e, a mio avviso, dovranno essere discusse pubblicamente.

Queste opzioni includono la fine della cooperazione di sicurezza con Israele?

Anche questa è una possibilità, assieme a molte altre.

Quanto l’ingresso di Donald Trump alla Casa Bianca è stato determinante per l’azione del governo israeliano?

L’elezione a presidente di Trump è stato l’evento scatenante. Netanyahu non parlava d’altro prima del 20 gennaio, nonostante Barack Obama sia stato un presidente molto generoso con Israele, forse il più generoso dal punto di vista politico, finanziario e militare. Il governo israeliano si sente incoraggiato a portare avanti la sua politica da Trump e dalle persone che il nuovo presidente ha scelto per determinati incarichi. A cominciare dal nuovo ambasciatore Usa a Tel Aviv \[David Friedman, aperto sostenitore delle colonie israeliane, ndr\]. Ora abbiamo coloni nel governo israeliano e, di fatto, coloni in quello statunitense.

Il quotidiano israeliano Haaretz ha riferito di avvertimenti dell’amministrazione Trump ai palestinesi: se denunceranno Israele alla procura internazionale perderanno il sostegno finanziario degli Usa e l’Olp tornerà nell’elenco delle organizzazioni terroristiche. È vero?

Non sono in grado di rispondere. Ciò che so è che queste minacce fanno parte di una posizione adottata dal Congresso americano.

È delusa dalla Ue?

Sì, moltissimo. Ci sono voluti ben 30 anni solo per arrivare all’etichettatura diversa dal Made in Israel per le merci delle colonie ebraiche nei territori palestinesi occupati dirette in Europa. E nel frattempo Israele resta un partner privilegiato della Ue, sotto tutti i punti di vista, nonostante le sue politiche nei nostri confronti. L’Europa parla ma poi fa molto poco per difendere concretamente i diritti dei palestinesi.

Michele Giorgio è su Twitter: @michelegiorgio2

Fonte: http://nena-news.it

8 febbraio 2017

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