La battaglia di Raqqa fondamentale per le sorti della Siria
Nena News
Da un punto di vista strategico Raqqa non rappresenta nulla. Però è un simbolo perché è “la capitale dello Stato Islamico” e la sua conquista da parte dell’esercito siriano significherebbe mandare in parte in fumo i piani di Washington e dei suoi alleati per il futuro della Siria
“La battaglia di Raqqa è entrata nella sua fase finale” – così ha dichiarato il comandante americano della forza Centcom Joseph Votel – “anche se per la sua liberazione ci vorranno diversi mesi”. Quasi tutti i protagonisti del conflitto siriano (locali, regionali e internazionali) sembrano decisi nel partecipare alla battaglia per la liberazione della capitale dello Stato Islamico in Siria.
Ad inizio giugno le Forze Democratiche Siriane (truppe a maggioranza curda sostenute dagli USA) hanno avviato la quinta fase: l’attacco decisivo a Raqqa. Dopo la conquista di Al Tabaqa, con il sostegno aereo degli USA, le FDS hanno accerchiato la città da nord, da ovest e da est e sono riuscite ad entrare nella periferia di Raqqa.
In contemporanea le truppe di Damasco, proprio in questi giorni, hanno conquistato la città di Al Rasafa, località a sud della capitale di Daesh ed hanno liberato oltre 1500 Km quadrati in pochi giorni.
Da un punto di vista strategico Raqqa non rappresenta nulla. Non ha niente a che vedere con Aleppo, seconda città siriana e capitale economica o con Palmira, la “Perla del Deserto”, strategica per l’accesso nel deserto siriano chiamato Badia.
Raqqa, però, è un simbolo perché è “la capitale dello Stato Islamico” e la sua conquista rappresenterebbe la quasi definitiva sconfitta di Daesh anche in territorio siriano, come è avvenuto in questi giorni a Mosul in Iraq.
Fox News e Russia Today riportano, comunque, che in questi mesi lo Stato Islamico ha spostato la maggior parte dei suoi quadri di comando e, soprattutto, le sue risorse economiche nella città di Al Mayadin, a sud di Deir Ez Zor. Diverse testimonianze, infatti, riportano di una grossa mobilitazione in quell’area, strategica perché vicino al confine iracheno, di molti miliziani e dei loro familiari.
Nella capitale dell’Isis, secondo il quotidiano francese Libération, sarebbero rimasti numerosi “foreign fighters tunisini, egiziani e ceceni pronti alla difesa della loro capitale”.
In un’intervista al canale di Hong Kong Phoenix, il presidente siriano Bashar Al Assad ha dichiarato che “la liberazione di Raqqa e di Deir Ez Zor sono i prossimi obiettivi di Damasco”, dopo la riconquista in un solo anno di oltre il 40% del territorio nazionale. Il governo siriano, infatti, controlla tutte le cinque principali città del paese: Damasco, Aleppo, Homs, Lattakia e Hama nel quale vive oltre l’80% della popolazione siriana.
La conquista di Raqqa e, ancor più, quella di Deir Ez Zor, risultano invece strategiche per una questione simbolica e, soprattutto, per ostacolare i piani americani nella regione. Secondo Damasco, infatti, Washington mira a conquistare la città di Raqqa per posizionarsi in maniera stabile e per imporre i propri piani nel paese.
Il giornale libanese Al Akhbar afferma che gli americani vorrebbero rimpiazzare Daesh con qualche milizia tribale “ribelle” in modo da dividere lo stato siriano nella sua parte centro-orientale e limitare la presenza iraniana in Siria.
Scenario che complicherebbe anche la situazione dei curdi siriani. Da questo punto di vista, come ventilato da diverso tempo dalla stampa americana, le Ypg dovrebbero, dopo aver fatto il lavoro “sporco” per Washington, rientrare nei loro territori ed eventualmente dover contrastare un’ennesima “operazione di pulizia” portata avanti dal presidente turco Erdogan.
Proprio per questo motivo diversi esponenti curdi siriani hanno riallacciato i rapporti, come avvenuto già a Manbij, con il governo di Damasco in maniera da poter poi mediare, eventualmente, per una zona autonoma, ma non separata dal governo di Damasco, nel Rojava.
Vista la veloce avanzata delle FDS nella zona di Raqqa, le truppe siriane e quelle di Hezbollah stanno puntando alla liberazione di Deir Ez Zor. La città è già in possesso delle truppe lealiste, ma è assediata da diversi anni da Daesh. Le truppe siriane mirano a chiudere qualsiasi possibilità di fuga agli jihadisti dell’ISIS e puntano ad ostacolare qualsiasi brama di espansione ai “ribelli” filo-americani verso la zona orientale del paese.
L’esercito siriano, appoggiato da russi, hezbollah ed iraniani, resta al momento il vero vincitore di questa guerra di strategia. La presenza di Qassem Soleimani, generale iraniano della Brigata Al Quds (reparto militare che agisce al di fuori dei confini iraniani e risorsa fondamentale per la riorganizzazione delle truppe irachene filo-sciite, ndr), ha portato nelle settimane scorse alla conquista di gran parte del territorio meridionale di confine con Giordania e Iraq.
Una vittoria che ha limitato le mire espansionistiche USA nella zona di Al Tanf ed ha favorito il ricongiungimento delle truppe di Damasco con quelle irachene dell’Hasced Shaabi (Unità Mobilitazione Popolare) per contrastare Daesh e “sigillare” il confine siriano.
Resta da riconquistare, infine, la zona di Idlib dove “sopravvive” l’altro gruppo jihadista Hayat Tahrir Al Sham (ex Al Nusra) che in questi mesi ha eliminato tutti i gruppi “ribelli” non allineati alle sue posizioni. Agli sforzi militari si aggiungono, comunque, anche quelli diplomatici con gli accordi di Astana.
La creazione di quattro “aree demilitarizzate” ha favorito, anche in questo caso, il governo di Damasco visto che nelle aree possono essere presenti solamente osservatori russi, iraniani e turchi e che la loro creazione ha diminuito in parte la capacità sia americana che israeliana di sostenere militarmente i gruppi ribelli al regime.
I prossimi mesi saranno, quindi, fondamentali per capire meglio le sorti della Siria e della sua integrità territoriale. Per il momento, invece, l’unica certezza è che all’interno di Raqqa sono rimasti oltre centomila civili, tenuti ostaggi come “scudi umani”, contro i bombardamenti aerei della coalizione che hanno causato in pochi giorni oltre 200 vittime.