La babele cinese
Ilaria Maria Sala
Pechino è stata tutta “tradotta”, con insegne e nomi di luoghi importanti trascritti anche in inglese, mentre Hong Kong e Singapore, piazze finanziarie e del commercio internazionali, hanno entrambe lingue parallele, chiamate Chinglish e anche Singlish. Ma basta a comunicare?

Hong Kong – Come dipanare Babele? Per Pechino, ormai si sa, le Olimpiadi dovevano essere il momento in cui la Cina, potente e modernizzata, si presenta al mondo esigendo rispetto e chiedendo a tutti di giocare seguendo le sue regole, o almeno di far finta. Questo ha significato dunque anche un grande sforzo a livello linguistico per rendersi un po’ più intelligibili anche a chi non parla cinese — compito arduo in un paese in cui lo studio delle lingue straniere, per quanto assiduo, resta limitato, e dove la lingua dominante non ha nessuna affinità né con l’inglese né con altre lingue europee. Certo, man mano che almeno alcune delle città cinesi si internazionalizzano, l’inglese andrà diffondendosi, e molte più persone nel mondo parleranno il cinese, ma per il momento il problema rimane ed è solo stato reso più visibile dai Giochi.
Pechino è stata tutta “tradotta”, con insegne e nomi di luoghi importanti trascritti anche in inglese. I menù dei ristoranti sono una nota sabbia mobile, dato che moltissimi piatti cinesi non rispecchiano nemmeno in cinese gli ingredienti con cui sono preparati, bensì storie a loro associati. Chi ride del piatto tradotto come “Polmoni della moglie e del marito”, per esempio, non sa che in cinese si dice esattamente nello stesso modo, dato che il manicaretto fu inventato da una coppia di sposi la cui armonia coniugale era leggendaria.
Pechino non è certo la prima metropoli di cultura cinese ad avere questo tipo di difficoltà: Hong Kong e Singapore, piazze finanziarie e del commercio internazionali, hanno entrambe lingue parallele, chiamate Chinglish (Chinese-English) e anche Singlish (Singaporean English) o anche la versione analfabeta dell’inglese, chiamata invece pidgin English, fatta tutta di sillabe ripetute e significati approssimativi.
A Hong Kong, la questione linguistica è irrisolta: le lingue ufficiali di questo territorio di sette milioni di abitanti sono tre (cantonese, inglese e mandarino) e il governo locale vorrebbe che tutti parlassero tutto – cosa che naturalmente non succede. Le scuole insegnano principalmente in cantonese, molto in inglese, e sempre più in mandarino, ma i risultati variano dall’eccellente al confuso.
A Singapore, invece, dove la lingua ufficiale è l’inglese, il governo cerca da anni di dare una cattiva reputazione al Singlish e bandirlo, senza riuscirci, dato che è divertente, irriverente e flessibile come un dialetto, e almeno lì i singaporiani sembrano voler affermare la loro indipendenza di pensiero. Chi vuole, può divertirsi a leggere talkingcock.com, dove l’improbabile pronuncia dell’inglese singaporiano viene trascritta in articoli satirici.
In tutti questi posti, restano però diffusissime le scritte del tutto improbabili su magliette, borse, e anche teli da spiaggia, fatte di zuppe di lettere che sembrano essere cadute a caso cercando però di mantenere l’impressione estetica di una frase scritta con senso comune. Diversi siti web sono dedicati ai nonsense linguistici nati dalla passione cinese e giapponese per scritte dall’aspetto inglese (o, più raramente, francese e italiano: chiaramente legati dunque ai paesi esportatori di moda) ma prive di significato o con significati equivoci, il più esteso dei quali si chiama engrish.com La risposta cinese non si è fatta aspettare troppo, ed ecco che altri website collezionano fotografie di non-cinesi che vanno in giro con i peggiori scempi tatuati sulla pelle, che vorrebbero essere invece dei caratteri cinesi. Spesso si tratta solo di ideogrammi scritti sbagliati, ancora riconoscibili, ma solo a mala pena. In altri casi, la vittima ignara si ritrova con stampato sulla pelle qualcosa di imbarazzante: nel caso più diffuso, giovani ragazze con scritto che sono “costose”.
L’interesse reciproco è sancito, ora resta da capire come comunicare.
dalla corrispondente
Ilaria Maria Sala
Fonte: Lettera22 e il Riformista
22 agosto 2008