L’Onu accusa l’Onu, "in Congo ha fallito"


Stefano Liberati


L’ultimo rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni unite sulla Repubblica democratica del Congo non risparmia nessuno.


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L'Onu accusa l'Onu, "in Congo ha fallito"

Trafficanti di minerali preziosi che si muovono indisturbati tra le frontiere, ribelli integrati nell'esercito che si scatenano sulle popolazioni civili, grandi potenze che sostengono personaggi ambigui sotto sanzione Onu, embarghi sulle armi bellamente violati da tutti, capi militari che travestono da vittorie meri accordi di spartizione del territorio e delle risorse con i presunti nemici.
L'ultimo rapporto del gruppo di esperti delle Nazioni unite sulla Repubblica democratica del Congo non risparmia nessuno. In un documento di 92 pagine, che il manifesto ha potuto visionare, i membri del panel mettono in luce un ampio network di traffici illeciti che rimanda agli anni bui in cui il paese centrafricano era teatro di quel conflitto regionale che è stato denominato «la prima guerra mondiale africana». Un rapporto talmente esplosivo che il Consiglio di sicurezza sta cercando di insabbiarlo. Secondo una fonte vicina al dossier, una lunga discussione lo scorso 20 novembre si è conclusa con un nulla di fatto. Il rapporto non è stato reso pubblico. Una nuova riunione al Palazzo di vetro è stata indetta per oggi, ma a quanto pare alcuni paesi membri del consiglio starebbero già premendo per ritardare ulteriormente ogni azione.
Il gruppo di esperti scandaglia il percorso delle materie prime (oro e cassiterite) dalle regioni orientali del Kivu e dell'Ituri, rintracciando i vari attori coinvolti nel traffico, la rete di connivenze anche ad altissimo livello che protegge (o ha protetto fino a ieri) noti capi ribelli ricercati dalla giustizia internazionale. Un testo che getta un'ulteriore ombra sulla Monuc, la missione Onu in Congo, i cui enormi costi (un miliardo di dollari l'anno)non hanno prodotto fino ad oggi corrispondenti benefici.
Sotto accusa in primis le operazioni militari congiunte condotte nel gennaio scorso dalle Fardc – le forze armate congolesi – e dall'esercito ruandese (Rdf) contro i ribelli hutu delle Forze democratiche di liberazione del Ruanda (Fdlr). Queste azioni, a cui hanno partecipato anche in marzo effettivi della Monuc, si sarebbero concluse, a quanto denunciano gli estensori del rapporto, con scarsi risultati. A differenza da quanto affermato dai responsabili militari, le offensive – che hanno provocato una pesante crisi umanitaria nelle regioni interessate – non hanno particolarmente indebolito i ribelli hutu, che hanno potuto nel giro di poco tempo riconquistare le posizioni perdute e continuare a trafficare con i minerali preziosi come hanno sempre fatto. Alla base del fallimento, le connivenze di cui i ribelli hutu ancora godono tra le forze armate congolesi, e la corruzione dei comandanti sia delle Fardc e dell'Rdf, che avrebbero fatto sparire diversi milioni di dollari.
Il rapporto segnala poi la fitta rete di corrispondenze di cui godono all'estero i ribelli delle Fdlr, soprattutto in Francia e Germania. I ribelli hutu, eredi di quelle milizie interhawme che hanno compiuto nel 1994 il genocidio di 800mila tutsi e hutu moderati in Ruanda, hanno mantenuto le proprie basi nel Congo per diverso tempo. Nonostante fosse sotto sanzioni Onu, il loro leader Ignace Murwanashyaka ha risieduto indisturbato in Germania, insieme al numero due del movimento Straton Musoni, fino al 18 novembre scorso, quando sono stati entrambi arrestati. Il loro arresto è da legare direttamente al rapporto Onu, di cui probabilmente le autorità di Berlino erano venute a conoscenza. Il vice presidente dell'alto comando Callixte Mbarushimana vive invece tuttora libero in Francia. Malgrado il congelamento dei beni e dei conti bancari, Murwanashyaka ha mantenuto il controllo del suo movimento e ha potuto beneficiare di larghe donazioni di provenienza diversa. Tra i finanziatori citati nel rapporto, alcuni individui in Belgio, due fondazioni cattoliche spagnole – la Fundacio' S'Olivar e Ishuti – e i missionari saveriani italiani Pier Giorgio Lanaro e Franco Bordignon, residenti da anni nell'est del Congo.
A quanto scrive il rapporto, le Fdlr hanno cominciato a reclutare quest'anno combattenti nei campi profughi ruandesi in Uganda, sotto gli occhi complici delle autorità di Kampala, che hanno pure permesso nel 2006 una visita nel paese di Murwanashyaka, malgrado fosse sotto embargo Onu. La stessa Uganda – che è membro temporaneo del Consiglio di sicurezza – permette il transito sul suo territorio dell'oro estratto dai movimenti ribelli congolesi, poi smerciato da due case di commercio gestite da cittadini indiani basati a Kampala.
Il rapporto colpisce un po' tutti. Oltre ai paesi già citati, la Cina è accusata di aver fornito armi e munizioni all'esercito congolese senza aver voluto fornire dettagli agli esperti. Gli Stati uniti non hanno fornito i chiarimenti richiesti su conti bancari e contatti di personaggi vicini a vari gruppi ribelli, tra cui le Fdlr e il Congresso nazionale per la difesa del popolo (Cndp), il gruppo tutsi guidato oggi da Bosco Ntaganda, ricercato dalla Corte penale internazionale.
Visto le loro accuse a 360°, i membri del panel non godono di grandi protezioni all'interno del Consiglio di sicurezza. Starà al segretario generale Ban ki-Moon difendere nella riunione di oggi l'operato del gruppo e la rispettabilità delle Nazioni unite, che nella Repubblica democratica del Congo appare già pesantemente compromessa.

Fonte: il Manifesto

26 novembre 2009

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