L’Italia deporta i migranti in Libia


Nigrizia.it


Sono stati riportati subito in Libia 227 migranti soccorsi al largo di Lampedusa, grazie all’accordo di Roma con Tripoli. Immediate le condanne di organizzazioni non governative e Nazioni Unite. Intanto il governo pone la fiducia sul Ddl sicurezza, al voto della Camera il 12 maggio prossimo.


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L'Italia deporta i migranti in Libia

Mentre il Parlamento Europeo approvava il “pacchetto asilo”, per garantire un sistema di protezione dei rifugiati armonizzato al livello comunitario, il governo italiano si accingeva a costituire un precedente nella storia del diritto internazionale. «Respingimento alla frontiera», così il Ministro dell’Interno Roberto Maroni ha definito la vicenda che ha visto coinvolti, tra il 6 e il 7 maggio scorsi, 227 migranti, soccorsi a 35 miglia dall’isola di Lampedusa e riportati immediatamente a Tripoli, in Libia, con navi della marina militare italiana, in base all'accordo stipulato tra Roma e Tripoli.

L’alto commissariato dell’Onu per i rifugiati denuncia l’atto come una violazione della convenzione di Ginevra del 1951, che prevede per i migranti richiedenti asilo il diritto al pieno accesso alle procedure per il riconoscimento dello status. Tra i rimpatriati, per lo più cittadini di Nigeria, Ghana, Gambia, Costa d'Avorio, Somalia e Mali, anche 40 donne delle quali tre incinte. Esulta il ministro Maroni che parla di operazione «modello», che sarà ripresa dal resto dell'Unione europea, mentre critiche giungono dalla Conferenza Episcopale Italiana, secondo cui va verificato il trattamento di chi è stato mandato in Libia. Paese, ha sottolineato Giandomenico Gnesotto, direttore dell'Ufficio Pastorale degli immigrati,che non ha sottoscritto la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo.

Montano dunque le polemiche sulle politiche attuate dal governo, mentre si moltiplicano i malumori nella stessa maggioranza. Bocciato il decreto che innalzava da due a sei mesi il tempo di detenzione degli immigrati irregolari nei “neo-costituiti” Centri di Identificazione ed Espulsione (Cie), centinaia di cittadini stranieri si sono trovati improvvisamente liberi, suscitando l’ira del ministro Maroni. Ed è proprio per scongiurare l’eventualità di uno stravolgimento del testo di legge, oggi all’esame della Camera, che il governo ha deciso, lo scorso 6 maggio, di porre la fiducia sul provvedimento.

Dopo la richiesta presentata dal presidente della Camera Gianfranco Fini, sparisce dal testo, la cosiddetta norma “presidi-spia”, che l’esibizione del permesso di soggiorno per avere accesso a prestazioni sanitarie o per iscrivere i propri figli alla scuola dell’obbligo. La norma è stata così modificata: «fatta eccezione per i provvedimenti riguardanti attività sportive e ricreative a carattere temporaneo, per quelli inerenti all’accesso delle prestazioni sanitarie e per quelli attinenti alle prestazioni scolastiche obbligatorie», il permesso di soggiorno deve «essere esibito agli uffici della pubblica amministrazione ai fini del rilascio di licenze, autorizzazioni, iscrizioni e altri provvedimenti di interesse dello straniero comunque denominati». Ed è proprio quest’ultimo punto a sollevare un coro di condanne dal mondo dell’associazionismo. Secondo la norma, infatti, i figli degli immigrati irregolari, nati in Italia, non potranno così essere iscritti nelle anagrafi, perché privi del permesso di soggiorno. Rimane anche la norma che vieta agli irregolari di sposarsi in Italia, oltre a quella che introduce il reato di immigrazione clandestina.

Unanime la condanna di associazioni come Amnesty International, Associazione studi giuridici sull’immigrazione (ASGI), Consiglio italiano per i rifugiati (Cir), Medici Senza Frontiere, Save the Children e Società italiana di medicina delle migrazioni, che, attraverso un comunicato diffuso il 6 maggio scorso, chiedono non sia fatto ricorso al voto di fiducia, auspicando lo stralcio della norma che prevede il reato di clandestinità. Secondo le organizzazioni, infatti «stabilire che fare ingresso o risiedere irregolarmente in Italia equivale a violare la legge penale, significa rendere obbligatoria la denuncia del migrante che si trovi in tale situazione da parte di ogni pubblico ufficiale (art. 361 c.p.) o incaricato di pubblico servizio (art. 362 c.p.) che ne venga a conoscenza».

di Ismail Ali Farah

Fonte: Nigrizia.it

8 maggio 2009

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