Kosovo. L’Europa indecisa


Enzo Bettiza


"Sarà dura ma dobbiamo sostenerli", dice Richard Pipes, americano d’origine polacca, massimo esperto di storia dell’Est europeo. Così la penso anch’io e dirò subito quello che nessuno, per pigrizia mentale o semplice ignoranza dei fatti, in questi giorni dice.


CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+
Kosovo. L'Europa indecisa

La notizia non è la dichiarazione d’indipendenza e del definitivo distacco kosovaro dalla Serbia. Come si prevedeva, essi scattano puntuali, a giro di posta, dopo le elezioni presidenziali di Belgrado. La vera notizia è la nascita di un altro Stato balcanico a maggioranza musulmana, che si aggiunge all’Albania islamica, alla Bosnia di fatto autonoma anch’essa islamica e alla Macedonia per un terzo islamica e albanofona. Credo che nell’esortazione di Pipes, già consigliere speciale dei governi Usa, secondo il quale l’Occidente non potrà sottrarsi all’obbligo di sostenere il nuovo Stato, sia implicito il fatto che il sostegno, se verrà dato, andrà a consolidare l’estensione delle aree statali a forte connotazione maomettana nei Balcani.

C’è un elemento positivo che di per sé spiega, al di là dell'ignoranza, il «silenzio stampa» sul carattere prevalentemente non cristiano del Kosovo che ieri si è separato formalmente dalla Serbia cristiano-ortodossa. Il silenzio deriva dal fatto che l’islamismo balcanico, di cui fanno parte più di due terzi degli schipetari, non ha destato mai particolari preoccupazioni giacché, anche nei momenti peggiori della dissoluzione jugoslava, non si è lasciato inquinare dal fondamentalismo dei volontari arabi e iraniani accorsi a difenderlo. Basta rileggere qualche pagina del Nobel bosniaco Ivo Andric per accorgersi che quello balcanico è stato da sempre, nella sua essenza, un islamismo europeo autoctono e moderato: tale è rimasto anche dopo l’assedio di Sarajevo, dopo l’olocausto di Srebrenica, dopo l’inaudita pulizia etnica di massa tentata nel 1999 da Miloševic nel Kosovo e interrotta dall’intervento militare della Nato.

L’antico radicamento europeo dell’islamismo balcanico, abituato da secoli a convivere civilmente con gente della medesima etnia slava ma non della medesima confessione, non ha mai presentato tratti di ghettizzazione rancorosa, rivendicativa, simile a quella che si può notare per esempio fra i depressi immigrati maghrebini della banlieue parigina. Si hanno molte e talora eccessive notizie di bande di contrabbandieri e di mafiosi operanti a Pristina, a Durazzo, a Sarajevo, a Skopje. Ma nessuna di santuari o gruppi terroristi legati ad Al Qaeda. L’Islam ancestrale dei Balcani, ancorché offeso nell’ultimo decennio del Novecento dai cattolici croati in Erzegovina e in particolare dai serbi ortodossi in Bosnia e nel Kosovo, costituisce insomma una rarità pregiata, un emblema di civiltà, che in un’epoca di tensioni e antipatie interconfessionali l’Europa avrebbe tutto l'interesse di curare e valorizzare al massimo.

Invece l’Europa, nel suo complesso, non si sta mostrando all’altezza del compito politico che la delicata quanto importante novità richiederebbe. Certamente è significativo che quattro grandi Paesi europei, Francia, Italia, Germania, Inghilterra, si dichiarino pronte a riconoscere e a soccorrere simbolicamente, oltreché tecnicamente, il consolidamento della nuova entità statale di Pristina con l’invio di una commissione speciale di giuristi e di esperti dell’ordine pubblico. È altresì significativo che l’Italia, dirimpettaia adriatica di slavi e albanesi, già presente con i suoi militari nel Kosovo, abbia deciso di esserlo anche con speciali reparti antisommossa in una regione dove la violenza rientra nel calcolo delle probabilità. Ma non meno significativa, in senso negativo, è la contestazione del carattere «unilaterale» dell’indipendenza da parte di spagnoli, romeni, bulgari, slovacchi, ai quali i ciprioti greci, sostenuti da Atene, aggiungono il loro no durissimo e dicono irremovibile. L’Europa dei 27 che, in quanto tale, si limita a «prendere atto» della dichiarazione kosovara, dà così l’impressione di marciare in ordine sparso e confuso al cospetto di un problema che è e resta essenzialmente europeo. Una volta di più gli oscillanti europei sembrano muoversi al rimorchio della locomotiva americana.

Nel 1999 avevano aspettato la spinta di Clinton, al cui nome è dedicata una delle strade principali di Pristina, per imbarcarsi nella spedizione antiserba della Nato. Dopo nove anni sembrano seguire indecisi, sparpagliati, di malavoglia, la risoluta decisione di Bush di appoggiare contro i veti di Mosca e di Belgrado la statualità di diritto oltreché di fatto del Kosovo.

Comunque, tutto ciò che è accaduto ieri pomeriggio era prevedibile: l’emersione di un sesto Stato dallo smembramento dell’ex Jugoslavia, il forte augurio della Casa Bianca, il travolgente giubilo delle piazze dominate dagli albanesi, i torbidi nell’enclave minoritaria di Mitrovica, il grido di dolore e di minaccia del primo ministro serbo, il ricorso della Russia per il veto al Consiglio di sicurezza, infine i mezzi sì e i mezzi no di Solana che si finge ministro degli Esteri di un’Europa che non c’è. Con ogni probabilità le invettive serbe contro l’Europa, le parole dure dei russi contro l’America, gli allarmi per un effetto domino di esplosioni irredentistiche dai Paesi baschi al Caucaso, la pioggia di euro da Bruxelles per placare l’ira della Serbia e ridare ordine e legalità all’equivoco microcosmo del Kosovo, continueranno a infiammare le cronache per alcuni mesi. Ma non si andrà più in là.

Sarà lo stesso Putin ad evitare accuratamente il rischio di uno scontro senza ritorno con l’Occidente perché, nella sua ambiziosa agenda politica, il Kosovo resta un’arma tattica e secondaria. Resterà invece prioritaria, per lui, l’arma a lunga gittata strategica con cui dovrà camuffare e prolungare, dopo le elezioni presidenziali del 2 marzo, il suo potere personale per molti anni a venire. Gli stessi serbi europeizzanti, come il rieletto presidente Tadic, sanno benissimo che le cose stanno così e che il panslavismo di Putin sarà di durata provvisoria e quindi breve.

Fonte: lastampa.it

18 febbraio 2008

scarica l’allegato

CondividiShare on FacebookTweet about this on TwitterEmail to someoneGoogle+

Lascia un commento