Italia-Libia: accordo-farsa, gli eritrei dicono no


Stefano Liberti


Il governo italiano si vende una mediazione inesistente. Maroni: «Non c’è prova che sono stati respinti da noi». Nell’inferno di Braq no degli immigrati alle ambigue proposte di Tripoli.


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Italia-Libia: accordo-farsa, gli eritrei dicono no

Se la sede dell’Unhcr in Libia non fosse stata chiusa d’imperio esattamente un mese fa dalle autorità della Jamahiriya, si potrebbe facilmente verificare. Se i respingimenti non fossero quelle operazioni occulte che sono, fatte senza registrare nomi e nazionalità dei respinti (perché in tal caso si dovrebbe provvedere ad acquisire le loro eventuali richieste d’asilo e portarli in Italia), forse il ministro non parlerebbe di “fatti indimostrati”.
Ma il governo non sembra interessato a verificare alcunché. Sembra piuttosto deciso a scaricare il barile su un’Europa effettivamente assente, facendosi bello di un presunto accordo che si dà per acquisito senza che i ragazzi eritrei ne siano stati minimanente informati. Solo l’altroieri Maroni e il suo collega Frattini scrivevano che “gli eritrei rifiutano l’identificazione”. Abbiamo offerto al governo la lista di tutti i 205detenuti nel campo di Braq, di cui siamo in possesso. Non abbiamo ottenuto risposta. Ieri i due ministri hanno gioita dell’accordo per liberare gli eritrei e dare loro un permesso di lavoro in Libia, senza verificare se quest’accordo fosse effettivamente stato raggiunto. Gli accordi si fanno tra parti: se una parte non è informata, è impossibile parlare di accordo concluso. Frattini parla di una diplomazia al lavoro quando in realtà si è ancora al punto di partenza: l’accordo strombazzato ieri dai ministri – e, ripeto, rifiutato dagli eritrei – è lo stesso che si stava negoziando alla fine della settimana scorsa tra diplomatici di Asmara e funzionari libici alla presenza dell’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). E’ un accordo che non risolve nulla e che straccia i diritti dei cittadini vitrei. I quali, nonostante la deportazione e i maltrattamenti, hanno deciso di resistere. Loro vogliono una cosa sola: vedere riconosciuto il loro diritto d’asilo. Poiché la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra, semplicemente non possono restare in quel paese. L’abbiamo già scritto, la soluzione è una sola: che l’Italia accetti e li tiri fuori dall’inferno in cui ha provveduto a cacciarli. Ma come ha detto Maroni “rifiuto ogni responsabilità del governo italiano, ci mancherebbe altro”. Forse è arrivato il momento che il governo italiano la smetta di nascondersi dietro le bugie e si assuma le proprie responsabilità.

Fonte: il Manifesto

8 luglio 2010

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