Italia, il costo della vita


Peace Reporter


Operaio albanese morto sul lavoro: ai familiari un risarcimento 10 volte inferiore rispetto a un italiano. I commenti dell’avvocato Marco Paggi e dello scrittore Marco Rovelli.


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Italia, il costo della vita

I genitori di un operaio albanese morto sul lavoro riceveranno un risarcimento dieci volte inferiore rispetto a quello che spetterebbe ai genitori di un operaio italiano.

Alcuni giorni fa, infatti, il giudice civile di Torino Ombretta Salvetti, rifacendosi a una sentenza di dieci anni fa della Cassazione ha stabilito di "equilibrare il risarcimento al reale valore del denaro nell'economia del Paese ove risiedono i danneggiati", che in questo caso sono i familiari dell'operaio deceduto. Ad entrambi i genitori del lavoratore andrà una somma pari a 32 mila euro. Se si fosse trattato di un lavoratore italiano la somma sarebbe stata fino a dieci volte superiore.

L'avvocato Marco Paggi dell'Asgi (Associazione studi giuridici sull'immigrazione), ha così commentato la decisione del giudice torinese.

Non credo che la sentenza in questione, per quanto riportato dalle agenzie, si possa definire in senso tecnico come il frutto di una discriminazione, ma piuttosto il frutto di una cultura discriminatoria latente.
In realtà non è certo la prima pronuncia di questo genere, tanto è vero che addirittura – sempre stando alle fonti ora disponibili – il Tribunale di Torino sembra richiamare una risalente pronuncia della Cassazione, che avrebbe ammesso un criterio di quantificazione del danno basato sul "tenore di vita" del paese d'origine. Ha evidentemente omesso di considerare il giudice di Torino che tale orientamento è da tempo superato, non solo da copiosa giurisprudenza di merito ma anche dalla Corte di Cassazione. Si veda, per l'appunto, la più recente sentenza n.5471 del 6.2.2009 della IV Sezione Penale, in relazione al risarcimento dei danni morali ai familiari non conviventi in Italia di un extracomunitario vittima di infortunio stradale (in Diritto immigrazione e cittadinanza, n.3/2009, p.209), ove si afferma che non solo è inapplicabile alla fattispecie la regola della reciprocità ma che inoltre "il trattamento giuridico conseguente alla lesione del bene-vita spetta ai famigliari dello straniero alla stessa stregua di quelli del cittadini italiano, siano o meno conviventi in Italia".

Sulla sentenza raccogliamo anche una riflessione dello scrittore Marco Rovelli, autori di 'Lavorare uccide' (Milano, BUR, Futuropassato, 2008).

Non ci sono molte buone ragioni per contestare la sentenza del giudice di Torino che ha deciso che la morte di un operaio albanese debba essere compensata con un ammontare di denaro minore di quello che compenserebbe l'analoga morte di un operaio italiano. Il giudice si è basato su un tabellario che parametra i poteri d'acquisto nei diversi Paesi del mondo. Quel che conta, insomma, è la quantità di merce che può essere comperata. La vita di un uomo viene finalmente valutata per ciò che essa è effettivamente nel mondo "reale": la sua capacità di consumo. L’essere umano vale in quanto consumatore: ecco, finalmente una sentenza che dichiari fuori dai denti, esplicitamente, questa verità che abbiamo sotto gli occhi quotidianamente, e che viene asserita in quanto valore ogni giorno.
Certo, rimangono alcuni problemi: la morte di un operaio di Palermo allora non dovrebbe essere valutata meno di quella di un operaio di Milano? Certo che lo dovrebbe, secondo logica capitalista vuole. Ma finché il criterio resta quello dello Stato nazionale (e nella globalizzazione, per quanto "imperiale" possa essere, lo Stato nazionale resta l'elemento chiave entro la divisione internazionale del lavoro), si deve parametrare e liquidare di conseguenza. Finché, almeno, la secessione nordista non sarà compiuta.
E poi, la questione di fondo – l’unico buon motivo in punta di diritto, direi: non avrebbe l'operaio da vivo mandato rimesse al paese in euro? E non avrebbero allora i suoi familiari ricevuto un ammontare di denaro che eccedeva il potere d'acquisto albanese? Ma il giudice di Torino avrà pensato che non è sulle ipotesi che si sorregge il diritto ma sui fatti, e qui i fatti sono: un corpo morto e un denaro vivo.
Insomma, è inutile eccepire alla sentenza secondo valori "umanitari": essa è perfettamente coerente ai valori fondanti del sistema – unico, assoluto, globale, e oserei dire rotondo come rotonda è la verità di Parmenide – entro il quale viviamo. Contestare la sentenza del giudice di Torino, allora, non ha alcun senso se non si rimettono in discussione i principi stessi del nostro capitalismo globale.

Fonte. PeaceReporter

27 ottobre 2010

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