Israele demolisce la “Scuola di gomme” della ong italiana
la Repubblica
Questa piccola scuola allegra è diventata un punto di riferimento, un esempio di edilizia contro l’occupazione e rappresenta un precedente che Israele difficilmente potrà tollerare. Ma se vinceranno i Jahalin sarà anche la vittoria di tutti quelli che credono nella forza dei sogni e della determinazione”.
La Corte Suprema israeliana ha autorizzato la demolizione del villaggio beduino Khan el-Ahmar (Cisgiordania) e della sua ‘Scuola di gomme’ perché sono stati costruiti senza i necessari permessi. I giudici hanno respinto ieri gli appelli dei 200 abitanti che si oppongono al trasferimento nella vicina località di Abu Dis che li costringerebbe ad abbandonare la loro vita di nomadi. ‘Scuola di gomme’ è un progetto realizzato da Vento di Terra, ong laica e indipendente fondata da un gruppo di cooperanti dello sviluppo. “Il primo progetto – si legge sul sito della ong – nell’ambito dell’Architettura di Pace. Una struttura bioclimatica progettata dal gruppo ARCò (Architettura e Cooperazione), realizzata nel deserto di Gerico con pneumatici usati. Ospita un centinaio di alunni beduini, prima esclusi dal diritto allo studio”.
Secondo l’Agenzia Italiana per lo Sviluppo e la Cooperazione (ufficio di Gerusalemme), il campo beduino con annessa ‘Scuola di gomme’ si trova in Cisgiordania, in una zona C, ossia una parte del territorio palestinese nel quale Israele vieta agli arabi di costruire case. Poco lontano sorge Maale Adumim, una delle colonie israeliane illegali più grandi e organizzate dei Territori Palestinesi”. L’iniziativa cominciò nel maggio 2009 e la scuola divenne operativa nell’agosto dello stesso anno. Si partì con 8.000 euro, racimolati da donatori e cooperazione decentrata. A supporto progetto intervennero in un secondo tempo la Cei, la cooperazione italiana, alcune agenzie Onu, l’Ue, e una rete di enti locali.
Ferma la condanna da parte della presidenza palestinese. “La politica di pulizia etnica – accusa la presidenza dell’Anp – è la forma peggiore di discriminazione razziale, che è divenuta la caratteristica predominante delle pratiche e delle decisioni del governo israeliano”.
Le operazioni di demolizione potranno avere inizio in qualsiasi momento dal mese prossimo. Il giornale Haaretz sostiene che la sentenza desta preoccupazione fra altre comunità beduine della Cisgiordania – come quella di Susya – che temono di essere anch’esse costrette a trasferirsi nelle località indicate loro dalle autorità israeliane. Due settimane fa, i capi missione della Ue a Gerusalemme e Ramallah avevano lanciato un appello ad Israele a non procedere alle demolizioni a Khan el-Ahmar ed avevano espresso “profonda preoccupazione” per la sorte di quella comunità beduina.
“La scuola Khan al-Ahmar – si legge sul profilo Facebook della ong – ha 160 alunni, provenienti da cinque comunità vicine alla scuola. Il sito individuato per il trasferimento, Jabal West, ad Azaria, è un ambiente urbano vicino alla discarica principale di Gerusalemme (ancora in uso), del tutto inadatto alla cultura desertica dei beduini”.
• COSÍ LA ONG RACCONTA LA STORIA DELLA ‘SCUOLA DI GOMME’
Nel settembre 2009 – si legge sul sito della ong laica Vento di Terra fondata dall’operatore umanitario Massimo Annibale Rossi e ora presieduta da Barbara Archetti – “inaugurava la ‘Scuola di gomme’, primo edificio pubblico realizzato per le comunità palestinesi in Area C, parte della West Bank sotto controllo militare ed amministrativo israeliano, dal 1967”. “La Scuola di gomme, che ad oggi ospita 160 alunni della primaria, è divenuta in breve un simbolo del diritto all’istruzione e di difesa dei diritti delle comunità beduine. Si tratta di una struttura senza fondamenta, realizzata con pneumatici usati, progettata dallo studio Arcò di Milano per rispondere alle complesse normative imposte dall’Esercito israeliano e alle esigenze delle comunità locali”.
“Una struttura che, per caratteristiche costruttive e materiali utilizzati, è considerata un esempio nell’ambito dell’architettura bioclimatica. La scuola permane, come numerosi edifici beduini dell’area, sotto ordine di demolizione. A fronte della causa intentata dallo Stato israeliano, dalle colonie limitrofe e dalla Società stradale Maan, la Corte suprema israeliana si è espressa una prima volta nel novembre 2009 invitando le parti a trovare un accordo. Le autorità israeliane hanno negli anni successivi presentato un piano per riallocare i beduini, piano respinto dalle comunità interessate, quanto dagli organismi internazionali”.
“La difesa del diritto allo studio degli alunni beduini di Khan al Ahmar – scrive ancora la ong – è stata possibile grazie all’apertura di un ombrello diplomatico e mediatico sulla scuola. A partire dal settembre del 2009, sono giunti numerosi attestati di solidarietà e si sono moltiplicate le visite di delegazioni internazionali. In particolare per la struttura innovativa e la rilevanza umanitaria la scuola è stata oggetto dell’attenzione della stampa israeliana e meta di delegazioni universitarie. La vicenda ha suscitato inoltre l’attenzione dei grandi network televisivi. La scuola è stata inoltre visitata da numerose delegazioni politiche dei paesi UE e dai vertici delle agenzie delle Nazioni Unite. Il progetto ha conseguito il risultato di sdoganare l’intervento umanitario in Area C”.
“Un segnale particolarmente incisivo è giunto nella stessa direzione nell’aprile 2017 da parte dell’Ambasciatore dell’Unione europea Lars Faaborg – Andersen: “Le pratiche quali trasferimenti forzati (…) e l’ostruzionismo verso l’assistenza umanitaria sono contrari agli obblighi di Israele in tema di diritto internazionale. Chiediamo quindi ad Israele, in quanto potenza occupante, di adempiere ai propri obblighi nei confronti della popolazione palestinese (…), di fermare completamente demolizioni e confische e consentire il pieno accesso agli aiuti umanitari”.
• LA CRONACA DELL’AGENZIA ITALIANA PER LO SVILUPPO E LA COOPERAZIONE
L’Agenzia Italiana per lo Sviluppo e la Cooperazione (ufficio di Gerusalemme), ha dedicato un reportage alla ‘scuola smontabile’. Ecco alcuni stralci. “Siamo in un campo di beduini della Cisgiordania. Poco lontano sorge Maale Adumim, una delle colonie israeliane illegali più grandi e organizzate dei Territori Palestinesi. Nel poco spazio che rimane ai Jahalin, relegati tra l’autostrada, l’insediamento illegale e i check-point, i bambini non hanno mai avuto una scuola. Hanno sempre raggiunto a piedi o in pullman quella più vicina, a Gerico. Nel marzo 2009 Vento di Terra ha avuto un’intuizione. Perché non progettare una scuola senza cemento e senza pavimento? Una scuola smontabile, ecologica e inattaccabile dal punto di vista legale”.
“Mimetizzata con la terra e a costi zero. Massimo Annibale Rossi e Dario Franchetti contattano due architetti italiani esperti in bioarchitettura, che elaborano un progetto ispirato alle realizzazioni ecologiche di Michael Reynolds nel New Mexico. Per due mesi si lavora sodo: i ragazzi Jahalin imparano la tecnica di costruzione con Valerio Marazzi, che rimane al cantiere per tutto il tempo necessario. I volontari vengono da Ramallah, da Gerusalemme e dall’Italia”.
“Ogni giorno tra giugno e luglio il campo si riempie di giovani americani, palestinesi, italiani che seguono le indicazioni dell’architetto: raccolgono gomme, le aprono con un martello, infilano terra, le mettono una sull’altra a formare muri, e le ricoprono di terra del deserto. Pian piano dal semplice perimetro di pneumatici neri si delinea quella che sarà una scuola di 300 m² con due aule e una segreteria. Ma il sogno non dura a lungo: a giugno l’amministrazione civile israeliana invia un’ingiunzione scritta di stop ai lavori e a luglio un vero e proprio ordine di demolizione. Convoca poi in tribunale i rappresentanti della tribù Jahalin che, aiutata dai donatori, si dota di un avvocato e va in tribunale. L’avvocato che difende i Jahalin è un israeliano, si chiama Slomo Laecker e decide di non mollare”.
“La sua strategia difensiva fa perno sulla consapevolezza che il diritto allo studio è un diritto umano inalienabile e che i bambini devono andare a scuola. Così, nonostante l’ordine di demolizione e l’intimazione da parte israeliana di non utilizzare la struttura, le lezioni hanno regolare inizio. Arrivano anche le maestre, quattro giovanissime donne, determinate e combattive, che non hanno intenzione di cedere. “Siamo arrivate al campo la prima settimana di settembre. L’incarico è arrivato direttamente dal governo dell’Anp (Autorità nazionale palestinese). All’inizio temevamo molto la demolizione, ora siamo più tranquille. Io ero spaventata per il fatto che si trattava di insegnare… in un deserto”, racconta Haneen, docente di matematica e scienze. Haneen ha 26 anni e ha studiato chimica. Con lei ci sono Shamsa e Nida, che insegnano inglese. Ad agosto il ministero dell’istruzione ha riconosciuto la scuola e si è impegnato a fornire i banchi, le lavagne e tutto il necessario per fare lezione”.
“Ora il campo sembra un altro: le mamme, giovanissime donne velate, escono allo scoperto. Finalmente non temono più gli occhi indiscreti degli stranieri. Aiutano le maestre a riportare l’ordine in classe, tengono pulito il cucinino a gas e la piccola stanza con il caffè, il tè e i biscotti per fare colazione. Durante i lavori di costruzione rimanevano chiuse nelle tende. Qualche volta chiamavano altre donne e le volontarie a raggiungerle, nelle misere case di lamiera, per bere un tè caldo bollente. Più spesso non osavano avvicinarsi, intimorite. La scuola ha reso differente l’atmosfera del campo”.
“Si tratta del primo vero edificio solido e grande abbastanza per ospitare 48 bambini, tra decine di baracche e stalle, dove vivono più di 3.000 Jahalin una volta nomadi. La loro unica attività oggi è la pastorizia, allevano capre e cammelli. Un tempo erano gli allevatori del Negev, come i Kaabneh, gli Azazmeh e i Ramadeen, ma 50 anni fa hanno dovuto abbandonare il deserto e accettare di vivere in una sorta di riserva, in campi lontani e dispersi, attrono ad Hebron, Gerusalemme, Gerico o nella Valle del Giordano”.
“Oggi sono i più poveri tra i palestinesi poveri e non hanno molti diritti, soprattutto se i loro accampamenti rientrano nelle aree degli insediamenti israeliani, come nel caso di Maale Adumim. ‘Questa scuola è stata voluta e realizzata da loro. È un grande esperimento e anche una grande scommessa’, spiega Massimo Annibale. Il contenzioso con Israele ora va avanti: gli abitanti di Maale Adumim, l’esercito, l’amministrazione civile sembrano non gradire né la scuola né tantomeno il via vai di cooperanti, diplomatici, internazionali che si alternano per visitarla.
E il pericolo resta: questa piccola scuola allegra è diventata un punto di riferimento, un esempio di edilizia contro l’occupazione e rappresenta un precedente che Israele difficilmente potrà tollerare. Ma se vinceranno i Jahalin sarà anche la vittoria di tutti quelli che credono nella forza dei sogni e della determinazione”.
La Repubblica
25 maggio 2018