Iraq-Siria. Il califfato avanza, per Ankara la “vera minaccia” è Assad


Chiara Cruciati - il Manifesto


Papa Francesco in visita in Turchia chiede al mondo musulmano di unirsi, per Erdogan il nemico è sempre Assad. Infuria la battaglia nella provincia irachena dell’Anbar, strage in Siria, a Raqqa.


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Dopo il discorso di Strasburgo in cui si diceva pronto al dialogo con l’Isis perché «non si chiude la porta in faccia a nessuno», ieri da Istanbul il pontefice ha fatto appello al mondo musulmano e ai suoi leader perché uniscano le forze contro la minaccia fondamentalista.

«I problemi non possono essere risolti solo con strumenti militari. Fanatismo e fondamentalismo, così come le irrazionali paure che creano discriminazione e incomprensione, devono essere affrontati dalla solidarietà dei credenti», ha detto Bergoglio durante la conferenza stampa con il presidente turco Erdogan, a cui il papa ha ricordato le responsabilità nella regione dopo averne elogiato gli sforzi nell’accogliere due milioni di rifugiati da Siria e Iraq.

Eppure è stato Erdogan ad ordinare alle proprie truppe di aprire il fuoco contro i rifugiati di Kobane e di restare a guardare il massacro in corso dalla frontiera. È lui che, negli oltre dieci anni alla guida del paese, ha cambiato il volto laico della Turchia dirigendola verso una nuova forma di islamismo moderato.

È lui che, imputato da più parti di aver sostenuto la crescita dell’Isis, solo due giorni fa ha accusato gli Stati Uniti di fare troppe pressioni perché Ankara intervenga a favore di Kobane: «Sono rimasti in silenzio di fronte alle barbarie di Assad e adesso tirano fuori la coscienza». Ieri Erdogan lo ha ripetuto in conferenza stampa: la vera minaccia è «il terrorismo di Stato in Siria». Ovvero, di nuovo, il nemico Assad. 

Intanto, mentre il papa visita il paese al confine con il califfato, l’offensiva dell’Isis prosegue. In Iraq il campo di battaglia è la provincia di Anbar, dove da giorni l’esercito governativo tenta di riprendere i territori occupati dagli islamisti. «Se perdiamo Anbar, perdiamo l’Iraq», ha commentato il governatore della provincia al-Dulaimi. Già da dicembre parte del capoluogo Ramadi e della città di Fallujah sono sotto il controllo dell’Isis che ha usato i due avamposti per conquistare villaggi e comunità. Oggi la battaglia sembra quella campale: la difesa di Ramadi è considerata da Baghdad il primo passo verso la controffensiva.

Simile il destino di Mosul, prima città a cadere nella mani dello Stato Islamico a giugno e ieri target di pesanti raid Usa. Per impedire la controffensiva governativa, al-Baghdadi ha fatto bloccare le reti telefoniche nella città interrompendo le comunicazioni con l’esterno. Una misura che, secondo i servizi segreti iracheni, è servita a garantire l’arrivo in città del califfo: al-Baghdadi, alla testa di 200 miliziani, è arrivato a Mosul di notte – protetto da buio e pioggia – per ridisegnare la strategia anti-coalizione. Ma sul campo la situazione appare ancora favorevole al califfato che sta allargando il fronte islamista a Libia e Egitto, a Darna con il Consiglio Giovanile della Shura e in Sinai con Ansar Beit al-Maqdis.

Una piccola vittoria è stata segnata a Kirkuk, a nord, dove peshmerga e truppe di Baghdad hanno respinto mercoledì un’ampia offensiva dell’Isis. Sotto il controllo del Kurdistan iracheno, che a giugno approfittò del caos per assumere il controllo della provincia di Kirkuk, ricca di petrolio, oggi la città e i suoi giacimenti sono tornati nel mirino di al-Baghdadi.

Dall’altra parte del confine in Siria, è Raqqa (roccaforte islamista e “capitale” del califfato) ad essere ancora nel mirino. Dopo una serie di bombardamenti dell’aviazione di Damasco che hanno ucciso martedì 130 persone, per lo più civili, ieri i caccia di Assad avrebbero sganciato altre bombe contro postazioni dell’Isis, ma anche contro un ospedale e una scuola.

Fonte: http://nena-news.it

29 novembre 2014

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