Iran, aumento spese per suo programma di missili


Il Fatto Quotidiano


Il parlamento di Teheran ha votato per l’incremento del piano missilistico e per il rafforzamento del corpo delle Guardie Rivoluzionarie, la milizia d’élite della Repubblica islamica. Una mossa attesa, dopo le nuove sanzioni imposte dall’amministrazione Usa, da sempre contraria all’accordo per il ridimensionamento del programma nucleare iraniano


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A handout picture provided by the office of Iranian President Hassan Rouhani on August 21, 2016 shows him (3rd-R) and Iranian Defence Minister Hossein Dehghan (2nd-L) standing next to the new Bavar 373 missile defence system in Tehran.
The system was designed to intercept cruise missiles, drones, combat aircraft and ballistic missiles, according to earlier statements by Dehghan.
It was intended to match the Russian S-300 system, the delivery of which was suspended in 2010 due to sanctions imposed over Iran's nuclear programme. / AFP PHOTO / IRANIAN PRESIDENCY / HO / == RESTRICTED TO EDITORIAL USE - MANDATORY CREDIT "AFP PHOTO / HO / IRANIAN PRESIDENCY" - NO MARKETING NO ADVERTISING CAMPAIGNS - DISTRIBUTED AS A SERVICE TO CLIENTS ==
L’Iran aumenta le spese per il suo programma di missili balistici e il rafforzamento del corpo delle Guardie Rivoluzionarie, la milizia d’élite della Repubblica islamica.  E’ la risposta di Teheran alle “politiche ostili americane contro il Paese”. Una mossa attesa, dopo le nuove sanzioni volute e approvate dall’amministrazione Usa di Donald Trump, da sempre contraria all’accordo per il ridimensionamento del programma nucleare iraniano, e la fine delle sanzioni internazionali siglate da Barack Obama nel 2015. Il parlamento di Teheran, con 240 voti a favore, ha approvato il provvedimento da 609 milioni di dollari.

La mozione è considerata una replica “alle azioni terroristiche e all’avventurismo degli Stati Uniti”, riportano i media locali. L’Iran nega che il programma violi l’accordo sul nucleare di Teheran siglato con le altre potenze mondiali nel 2015. Il piano nello specifico richiede al governo e alle forze armate iraniane di elaborare una strategia per contrastare “le violazioni statunitensi dei diritti umani in tutto il mondo” e sostenere gli enti e i cittadini colpiti dalle sanzioni Usa.

La ritorsione dell’Iran complica ulteriormente la politica estera di Washington, alle prese anche con difficoltà interne: l’arrivo di John Kelly a capo dello staff ha rafforzato il fronte dei militari, isolando Steve Bannon, sospettato da Trump di essere il responsabile della fuga di notizie dalla Casa Bianca. Sul fronte internazionale, l’amministrazione sta cercando di gestire le crisi in Corea del Nord e in Venezuela, e di imprimere una svolta nelle proprie politiche commerciali. In calendario il 16 di agosto c’è poi anche il primo round di trattative per la revisione del Nafta, uno dei cavalli di battaglia di Trump durante la campagna elettorale insieme al muro con il Messico e proprio il ritiro degli Stati Uniti dal ”pessimo” accordo sul nucleare iraniano.

Il presidente americano non ha mai nascosto la sua totale contrarietà all’intesa con Teheran firmata da Obama: un accordo – a suo avviso – troppo favorevole all’Iran, paese che, a suo dire, aiuta il terrorismo e il regime di Bashar al Assad in Siria. L’amministrazione ha per ora confermato lo status quo dell’intesa del 2015, con Teheran che ha passato i test previsti dall’accordo, mostrando di rispettarlo “tecnicamente”. Secondo Trump, però, l’Iran non rispetta l’accordo “nello spirito”. Da qui l’imposizione di nuove sanzioni, non legate direttamente al nucleare, contro diciotto fra individui e gruppi iraniani, ai quali sono stati congelati i beni negli Stati Uniti e imposto il divieto di rapporti commerciali con entità americane. In precedenza, anche l’amministrazione Obama aveva mantenuto tutte le sanzioni unilaterali statunitensi contro l’Iran, relative al mancato rispetto dei diritti umani e ad un presunto appoggio a gruppi considerati terroristici.

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