In Sud Sudan non c’è pace. Tensioni alla vigilia del referendum


La redazione


All’avvicinarsi del referendum previsto per il 9 gennaio Save The Children denuncia: circa 500 mila bambini a rischio fame, malattie, sfruttamento. La Campagna Italiana per il Sudan: violazione dei diritti umani e della libertà di stampa.


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In Sud Sudan non c'è pace. Tensioni alla vigilia del referendum

ROMA – Circa 500 mila bambini in sud Sudan vanno incontro a un periodo di avversità: fame, malattie, rischio di sfruttamento in seguito al trasferimento e rientro in Sud Sudan delle loro famiglie per il referendum del 9 gennaio. Si stimano in 800 mila le persone che dal nord torneranno al sud, afflusso peraltro già iniziato con quasi 80.000 persone arrivate in queste ultime settimane. Più della metà, come detto, sono bambini. Le cifre sono di Save the Children, secondo cui “molti si ritroveranno a vivere sulla strada, o in rifugi arrangiati e temporanei, senza abbastanza cibo e acqua potabile, esposti così al pericolo di contrarre malattie e nell’impossibilità di accedere facilmente a cure, anche di base. Altri bambini – soprattutto quelli che già vivevano nel sud – si troveranno (alcuni già si trovano) a condividere la propria casa con decine di componenti delle famiglie allargate in arrivo dal nord del paese, e a dividere con questi il poco cibo a disposizione”.
In alcune abitazioni già si contano decine di persone tutte insieme: così sta vivendo Chot, insieme alla mamma Deu e ai sei fratelli. “Nel loro compound adesso sono in 58, da quando li hanno raggiunti dal nord altre 4 famiglie di parenti”.

Una grande concentrazione anche di necessità, in un’area che già soffre di carenza di centri medici, ospedali, scuole e dove è enormemente difficile raggiungere le strutture esistenti.
”I bambini del sud Sudan sono tra i più poveri e svantaggiati del mondo – ricorda Save the Children -: 1 ogni 7 muore prima di aver compiuto 5 anni. In questo contesto, con il referendum del 9 gennaio alle porte, la grande sfida è e sarà dare rifugio, sostegno, cibo, assistenza sanitaria, scuola  a centinaia di migliaia di  persone e bambini, continuando ad aiutare coloro che al sud già vivevano e i nuovi abitanti”.

Save the Children da mesi lavora a un piano di emergenza per fronteggiare il nuovo scenario: ha incrementato le proprie riserve di cibo, tende e medicine e sta intensificando tutte le proprie attività in 9 delle 10 regioni del sud Sudan, dove opera ed è presente da circa 20 anni: in particolare l’organizzazione sta fornendo assistenza sanitaria e nutrizionale a donne e bambini, coperte, pannolini, zanzariere e stuoie per dormire alle persone rientrate e sfollate. Per esempio a Leer, nello Unity State sono circa 10 mila le persone rientrate che l’ong sta supportando.
Save the Children, in quanto organizzazione indipendente, auspica che “il referendum sia libero e corretto” e non parteggia né per l’indipendenza del sud Sudan dal nord né per la non indipendenza. Il suo obiettivo e principale interesse è di essere pronta e attrezzata ad aiutare i bambini, “qualsiasi sia il risultato referendario”.

Fonte: Redattore Sociale

5 gennaio 2011

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Mudawi Ibrahim Adam arrestato a Khartoum

Violazione dei diritti umani e della libertà di stampa in Sudan, all’avvicinarsi del referendum di autoderminazione del Sud del paese, previsto per il 9 gennaio prossimo.

Il 22 dicembre, a Khartoum, il Dr. Mudawi Ibrahim Adam, fondatore e presidente di SUDO, un’importante ONG sudanese, e noto difensore dei diritti umani in Sudan, è stato condannato ad un anno di prigione ed arrestato.

La condanna è conseguenza della revisione di una precedente sentenza di assoluzione totale per l’accusa di malversazione, a lui sollevata da HAC (Humanitarian Affaire Commission), l’ente governativo sudanese che coordina l’attività delle Ong. Nessun nuovo elemento sembra essere emerso a carico del Dr. Mudawi; la sentenza sembra piuttosto essere frutto di pressioni politiche e viene definita come un arresto arbitrario, senza neppure la pretesa di un processo credibile da Front Line, l’autorevole organizzazione internazionale che difende i difensori dei diritti umani e che ha dato per prima la notizia.

Non è la prima volta che il Dr. Mudawi viene arrestato. Dal 2003 al 2005 è stato preso tre volte, ha passato in carcere 18 mesi, dei quali molti in isolamento, per il suo impegno nella difesa della popolazione e la ricerca di una soluzione alla crisi in Darfur. Per questo gli sono stati assegnati prestigiosi premi internazionali; fra gli altri, nel maggio del 2005, quello di Front Line, assegnato ogni anno a difensori dei diritti umani particolarmente a rischio nel loro paese. Il premio è stato consegnato alla moglie perché Mudawi era stato arrestato, per la terza volta, pochi giorni prima.

Le intimidazioni nei suoi confronti non sono mai cessate. Il 5 marzo 2009, un giorno dopo l’accusa della Corte Penale Internazionale al presidente sudanese Bashir, SUDO è stata chiusa, insieme ad altre due importanti ONG sudanesi e 13 internazionali, e un processo per uso non conforme dei fondi dell’associazione è stato intentato a lui personalmente da HAC.

Nell’aprile di quest’anno il tribunale lo aveva assolto e, con una differente sentenza, aveva dichiarato ingiustificata e illegittima la chiusura di SUDO.

Dal 2006 Mudawi è venuto più volte in Italia, ospite della Campagna Italiana per Il Sudan e di altri; ha incontrato amministratori locali, rappresentanti di istituzioni (il Presidente della Camera, on. Bertinotti, la viceministra on. Patrizia Sentinelli fra gli altri) giornalisti, attivisti della società civile come testimone ed esperto e ha dato un contributo significativo e qualificato alla conoscenza di un contesto complesso e delicato come quello sudanese.

Purtroppo il Dr. Mudawi è l’ultimo, per ora, di una ormai lunga serie di arresti di attivisti per i diritti umani e di giornalisti avvenuti in Sudan nelle ultime settimane.

Il 14 dicembre è stato arrestato Abdul Bassit Mirghani, direttore di El Fanar Center for Human Rights, probabilmente per aver ospitato una riunione di attivisti che preparavano una manifestazione di protesta per la flagellazione di una donna resa pubblica da un video postato su You Tube. Alla manifestazione una cinquantina di partecipanti sono state arrestate e rilasciate solo qualche giorno dopo. Di Mirghani non si sa più nulla.

Il 30 ottobre sono stati arrestati altri attivisti per i diritti umani, tra cui Abdelrahman Mohamed al-Gasim, avvocato e membro del comitato esecutivo del  Sudanese Human Rights Monitor (SHRM). Denuncia il suo arresto e la sua sparizione CIHRS, una rete di 18 organizzazioni per la difesa dei diritti umani dei paesi arabi, le quali sospettano che Al Gasim sia stato preso in ritorsione alla sua partecipazione ad una loro missione, nello scorso settembre, e alla sua azione di lobby per l’estensione del mandato ad un esperto indipendente dell’UNHCR, per il monitoraggio del rispetto dei diritti umani in particolare nei campi profughi del Darfur.

In novembre, forze di sicurezza hanno razziato, arrestato diversi attivisti e chiuso l’ufficio di HAND (Human Rights and Advocacy Network for Democracy) una coalizione di gruppi darfuriani attivi a Khartoum; la denuncia viene da Human Rights Watch.

Sotto pressione sono anche i mezzi di comunicazione e i giornalisti, in particolare quelli che si occupano o che provengono dal Darfur.
Reporters Without Borders (RSF) denuncia l’arresto di Abdelrahman Adam Abdelrahman, direttore di Radio Dabanga, un’emittente indipendente che trasmette dal e sul Darfur, e la chiusura dei suoi uffici a Khartoum.
Il 3 novembre è toccato al giornalista darfuriano Gafar Alsabki Ibrahim, arrestato durante un raid negli uffici del giornale indipendente "Alsahafa"; ci sarebbero prove che Gafar è stato torturato durante la detenzione.

Quanto sta avvenendo preoccupa vivamente osservatori ed esperti di cose sudanesi, i quali ritengono che, con l’avvicinarsi del referendum per l’autodeterminazione del Sud Sudan, previsto per il 9 gennaio prossimo e che molto probabilmente porterà alla divisione del paese, la situazione potrebbe addirittura aggravarsi.

E’ necessario che la comunità internazionale, finora impegnata solo nelle trattative tra le parti politiche coinvolte,  si attivi immediatamente per la difesa dei diritti umani, degli attivisti della società civile e della libertà di stampa e di opinione in Sudan, altrimenti il referendum potrebbe non essere pacifico e attendibile, come tutti auspicano.

Fonte: Campagna Italiana per il Sudan

4 gennaio 2011

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