In Rai 20 secondi al giorno


Maurizio Regosa


La tv pubblica ha messo la società civile nell’angolino. In barba al contratto di servizio… I dati dell’Autorità per le comunicazioni sono imbarazzanti: il sociale in televisione ridotto al lumicino.


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In Rai 20 secondi al giorno

Leggete otto righe ad alta voce. Impiegherete più o meno 20 secondi. Più o meno il tempo che la Rai dedica ogni 24 ore e su tre reti ai protagonisti del sociale. Briciole rispetto alle ore riservate ai partiti, agli esponenti politici, ai sindacati, ai soggetti costituzionali. Briciole che vanno assottigliandosi sempre più, in barba al contratto pubblico di servizio sottoscritto giusto un anno fa e largamente disatteso.
Per accorgersene, è sufficiente scorrere le rilevazioni che l’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, periodicamente, mette sul sito. L’ultima indagine, appena resa pubblica, riguarda il dicembre 2007 e testimonia una disattenzione grave e bipartisan (cioè di Rai e Mediaset).
In particolare, i telegiornali del cosiddetto servizio pubblico hanno riservato 12 minuti ai protagonisti sociali (ovvero, secondo l’Autorità, “anziani, bambini, giovani, disabili, immigrati, minoranze, donen”). Di questi 12 (lo 0,45% del tempo totale), 4 minuti sono stati impiegati per interviste, 6 per servizi.
Un po’ meglio è andata all’associazionismo (dall’ambientalismo al consumerismo, dalla difesa dei diritti all’attività dei centri sociali): “i soggetti di rilievo per il pluralismo sociale”, come li chiama l’Autorità, hanno ottenuto 41 minuti, ovvero 79 secondi al giorno (l’1,52% del totale).

Tanto per paragonare
Nello stesso periodo, soggetti e organi costituzionali hanno ricevuto 13 ore e mezzo d’attenzione; i partiti quasi 14, i sindacati 2 ore e mezza. Dicembre – direte voi – è il mese della Finanziaria, delle infinite discussioni alle Camere, dei tempi contingentati. È naturale che i tg siano “monopolizzati”. In parte è vero. Peccato che nel 2006, sempre nel mese della Finanziaria, le percentuali fossero praticamente doppie. All’associazionismo per esempio fu riservato – sempre secondo l’Autorità – quasi il 3% del tempo complessivo.
E sì che le premesse per un miglioramento ci sono. Basterebbe dare in realtà al contratto pubblico di servizio, sottoscritto nell’aprile 2007 e con il quale la Rai si è impegnata a promuovere il pluralismo, a migliorare la qualità, “a valorizzare la rappresentazione delle diverse realtà sociali del Paese”.
Belle intenzioni non accompagnate però da atteggiamenti coerenti. Non era ancora asciutto l’inchiostro con cui il ministero e l’azienda avevano siglato l’accordo, che già nei tg iniziava a diminuire la presenza della società civile. Da maggio i minuti dedicati all’associazionismo e ai protagonisti sociali hanno cominciato ad assottigliarsi, mentre il tempo riservato ai partiti (per la serie, dimmi con chi vai…) si è espanso sempre più: dal 25,87% “occupato” nel dicembre 2006, i partiti sono passati al 30,68% della fine 2007.
D’altronde è lo stesso trend che si registra nei programmi extra tg: dal 10,67% dedicato nel 2006 all’associazionismo si scende, nel 2007, al 10,21%. Più impressionante il calo di presenza dei protagonisti sociali: dal 2,02 allo 0,93%.

Lo chiamereste pluralismo?
“ Da questi dati risulta che la Rai non è più servizio pubblico e che l’informazione ha vinto sull’informazione”. E’ il commento di Carlo Freccero, presidente di Rai Sat, che aggiunge: “Il vero problema è che ormai la Rai è una televisione quasi commerciale. Ormai più della metà delle risorse proviene dalla pubblicità. Di conseguenza ci sono altri criteri rispetto al contratto di servizio pubblico”.
Non c’è dubbio. Tant’è che moltissimi degli impegni “sociali” che la Rai si è assunta sottoscrivendo il contratto non sono stati rispettati.
Nulla si è mosso, ad esempio, per la nuova struttura prevista dall’articolo 8. Di fatto il superamento del debole Segretariato sociale. Tale nuovo organismo – alle dipendenze del direttore generale – avrebbe il compito di definire “le linee guida di comunicazione e i principi di riferimento per la presentazione delle problematiche sociali”. Doveva nascere entro il 2007.
A rilento sta andando pure l’introduzione del linguaggio dei segni nei diversi telegiornali e progressivamente nei programmi d’attualità e d’approfondimento, mentre – come fa notare Adiconsum – ci sono ritardi anche per l’accesso gratuito alla programmazione trasmessa via cavo o satellite (l’azienda si era presa un anno che ormai è trascorso).
“Chi non vuole che il sociale si rafforzi”, commenta Carlo Romeo del segretariato sociale, “fa finta che questi impegni non ci siano”. Tanto sa che fra insediamento del nuovo governo, estate e Finanziaria si arriverà rapidamente alla fine dell’anno, cioè a pochissimi mesi dalla scadenza del contratto mai nato.

Si chiama far melina
Senza nemmeno preoccuparsi di nasconderlo troppo.
Se n’è accorto persino il Comitato scientifico nominato dal ministro Paolo Gentiloni per il monitoraggio della qualità. In un documento di febbraio, scrive: “Nel corso delle numerose audizioni con i vertici aziendali è emerso che il Contratto di servizio ha scarso peso nei vari gangli della Rai”.
In un Paese civile, sarebbe considerato gravissimo che un’impresa (pubblica) non onori un impegno sottoscritto con l’azionista. Da noi non ci sono reazioni. Si parla di crisi soltanto riferendosi all’incessante emorragia di ascolti. Oppure alludendo alla scarsità di risorse economiche, magari per sottolineare l’evasione del canone, fra le tasse meno amate.
Un’evasione reale rispetto alla quale piuttosto goffi sembrano i tentativi in corso di estendere l’obbligo di abbonamento:l’ultima “minaccia” ventilata da qualche mese (appoggiandosi su una normativa del 1938) è di obbligare a versare il canone anche chi possiede apparecchi diversi dal televisore, ad esempio il personal computer, coi quali potrebbe guardare la tv. La situazione è assai poco chiara: quattro interpellanze parlamentari non hanno avuto risposta; l’Agenzia delle Entrate nazionale ha eluso l’appello dell’Aduc, mentre secondo la sede veneta della medesima Agenzia “sono obbligati al pagamento anche i possessori di monitor collegati al computer remoti connessi in rete”. Ha da passà ‘a nuttata…

Fonte: Vita

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