Il tenente Paolo Montali: “L’impostazione militare non è un male”


Peace Reporter


In un’intervista a PeaceReporter il tenente Paolo Montali racconta come si svolge il programma ‘Allenati per la vita’ all’interno dell’anno scolastico…


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Il tenente Paolo Montali: "L’impostazione militare non è un male"

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Il tenente Paolo Montali, responsabile provinciale del programma ‘Allenati per la vita’, è un ufficiale dell’esercito in congedo, membro dell’Unuci (l’Unione nazionale ufficiali in congedo d’Italia), ed è uno degli istruttori che hanno partecipato alle precedenti edizioni.

Il protocollo d’intesa, siglato tra il Comando regionale dell’Esercito della Lombardia e l’Ufficio Scolastico della stessa regione, è stato rinnovato per la quarta volta e prevede che gli studenti degli istituti superiori che ne facciano richiesta siano inseriti nel corso dell’anno in un programma di educazione sia fisica che teorica.

Qual è il ruolo dell’Unuci nella realizzazione del progetto?

L’Unuci, che è composta da ex ufficiali delle forze armate in congedo, svolge un ruolo di primo piano nella realizzazione dell’iniziativa, viste le competenze pratiche e tecniche dei propri membri. Vi prendono parte, tuttavia, anche altre associazioni pubbliche, come la Protezione Civile. Del resto anche l’Unuci è un ente pubblico, in quanto associazione d’arma che raccoglie ufficiali di tutte le forze armate.

Perché un addestramento militare nel corso dell’anno scolastico?

Non si tratta di un addestramento militare, visto che il programma si compone sia di parti teoriche generali che di parti pratiche. La teoria prevede nozioni di diritto costituzionale e l’insegnamento dei principi civici fondamentali per la vita della Repubblica. La pratica si concentra sullo sport e sull’educazione fisica. Lo sport e i principi della sana competizione sono chiavi di lettura indispensabili per comprendere l’iniziativa.

Concorderà con me, però, che al fianco di discipline il cui carattere sportivo è più evidente, ve ne sono altre come la difesa nucleare, batteriologica e chimica, come figura in un documento del 2009 della Regione Lombardia che spiega il progetto, che poco hanno a che vedere con i principi che lei cita.

Non mi sembra siano stati realmente svolti corsi di questo tipo, piuttosto si cerca di portare all’attenzione dei ragazzi materie operative come sopravvivenza in ambienti ostili, topografia e orientamento.
Uno degli obiettivi che ci poniamo è quello di migliorare il rapporto tra il mondo civile e quello militare. Fondamentale è comunque l’intenzione di trasmettere valori come lo spirito di corpo, la capacità di lavoro in squadra e un forte orientamento al sociale.

Resta difficile, però, inserire in questo quadro di riferimento anche il tiro con la carabina ad aria compressa.

Il tiro con armi ad aria compressa è molto utile per insegnare la disciplina, infatti i poligoni di tiro sono posti in cui seguire le regole è essenziale per la propria sicurezza. Ovviamente tutte le esercitazioni si svolgono in poligoni che sono sedi del tiro a segno nazionale. Non bisogna dimenticare comunque che sono previste anche attività come il Bls (Basic life support), svolte da istruttori della Croce rossa, che hanno una forte utilità sociale e che dovrebbero entrare a far parte del bagaglio civico di ogni cittadino.

Come si svolge il programma durante l’anno scolastico?

Si parte da una base di circa 40 ore, ma spesso se ne svolgono molte di più (fino a 60) per via delle uscite pratiche, come quelle di orienteering nei boschi, sopravvivenza e topografia. Le attività si concentrano in due periodi dell’anno: tra fine ottobre e dicembre e successivamente tra gennaio e marzo, e prevedono la partecipazione volontaria degli studenti in orario rigorosamente extrascolastico, con la possibilità di ottenere crediti formativi per chi frequenta. Alla fine del corso si svolge una finale provinciale, che lo scorso anno ha avuto luogo all’Idroscalo di Milano.

I numeri del progetto dello scorso anno?

Nella precedente edizione hanno partecipato circa 650 ragazzi, da quasi tutte le province lombarde e quest’anno ci aspettiamo un forte aumento delle adesioni.

Già si pensa all’esportazione su scala nazionale?

Il progetto è attivo solo su base regionale ed è diviso per province. Da quest’anno però posso dire che c’è l’interessamento del ministro della Difesa.

Lei parla di ‘trasmettere ai ragazzi i sani principi dell’associazionismo e del volontariato’, ma siamo franchi, in fondo non c’è un’impostazione un po’ troppo militare? E soprattutto, non le sembra una felice operazione di marketing da parte dell’esercito?

L’esercito non ha bisogno di pubblicizzare la propria attività nelle scuole, usa i canali appositi e soprattutto gli istruttori di questo programma non sono militari. Il fatto che spesso siano ex militari è solo un’assicurazione della loro professionalità. Chi è in congedo è rientrato a tutti gli effetti nel mondo civile e in molti casi ha un lavoro che non ha più niente in comune con la sfera militare.
Quanto al resto, la disciplina, lo spirito di corpo e il rispetto delle regole sono valori che fanno bene alla vita civile, e in questo senso posso dire che l’impostazione militare non è un male.

di Alessandro Micci

Fonte: PeaceReporter

28 settembre 2010

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