Il sangue e il Baath


Lorenzo Trombetta


Ancora morti in Siria. Da ieri mattina all’alba, il regime siriano ha deciso di metter fine alla rivolta, i giornalisti stranieri, però, sono stati quasi tutti espulsi ed è quindi impossibile verificare l’esattezza delle informazioni.


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Il sangue e il Baath

Un “emirato islamico comandato da un emiro salafita” era pronto per esser creato a Daraa, città meridionale siriana al confine con la Giordania. Per questo, ha detto ieri una fonte governativa di Damasco citata dalla tv di Stato, è stato deciso “l’intervento dell’esercito”. Daraa, capoluogo di 75.000 abitanti della regione agricola dell’Hawran a maggioranza sunnita, è da cinque settimane una delle roccaforti delle proteste senza precedenti contro il regime al potere da quasi mezzo secolo e impersonato da 40 anni nella famiglia presidenziale al-Assad.

Daraa è dalla fine di marzo scorso assediata dall’esercito e al suo interno sono stati schierati oltre 5.000 agenti delle forze di sicurezza. Le proteste, guidate dagli influenti leader dei clan locali, non si sono però mai sedate, ma sono anzi servite da esempio a molte altre città siriane come Latakia, Banias, Homs, Jabla, i sobborghi di Damasco, che di fatto hanno avviato una mobilitazione permanente.

Da ieri mattina all’alba, il regime siriano ha deciso però di metter fine alla rivolta partendo proprio da Daraa.

I giornalisti stranieri sono stati quasi tutti espulsi dalla Siria ed è quindi impossibile verificare l’esattezza delle informazioni che giungono dai media governativi e da quelli di attivisti e testimoni oculari citati dalle tv panarabe. Secondo queste ultime fonti, almeno 3.000 fanti dell’esercito regolare sono entrati nel centro abitato protetti dall’oscurità e da almeno dieci tra carriarmati e blindati. Con loro, affermano i testimoni, decine di cecchini hanno preso posizione su alcuni palazzi mentre migliaia di agenti dei servizi di sicurezza hanno aperto il fuoco in maniera indiscriminata contro le abitazioni. “Cinque civili che erano a bordo di un auto hanno tentato la fuga ma sono stati raggiunti dai colpi. Sono tutti morti”, ha raccontato un testimone all’agenzia France Presse. Con molta probabilità, l’agenzia ufficiale Sana riporterà a breve la notizia che quei cinque uccisi non erano civili ma “membri di gruppi armati” legati al progetto straniero di creare un emirato islamico in Siria a partire da Daraa, a poche decine di di km dalla Giordania e il cui valico di frontiera è stato di fatto sigillato ieri dalla parte siriana. Le autorità di Damasco hanno smentito la circostanza, mentre quelle di Amman l’hanno confermata.

I residenti della regione dell’Hawran hanno riferito che l’esercito siriano è entrato in azione intorno alle 4:00 del mattino e che nel corso delle operazioni sono state usate “mitragliatrici con proiettili di grande calibro” e “proiettili di mortaio”. “Sparano sulle case con l’artiglieria”, ha detto un altro testimone citato sempre dalla France Presse.

Solo giovedì scorso il presidente siriano Bashar al-Assad aveva firmato il decreto per la concessione  ai cittadini , dopo 48 anni,del diritto di manifestazione pacifica. “Da allora e in particolare da ieri, il regime ha optato per una soluzione militare”, ha detto l’attivista siriana Suhayr Atassi, in carcere per circa un mese e rilasciata tre settimane fa dopo aver partecipato al sit-in di Damasco del 15 marzo scorso. “E’ in corso un attacco barbaro contro il popolo siriano”, ha affermato. Oltre a intervenire nel centro abitato di Daraa, gli attivisti sostengono che due reparti dell’esercito regolare, composti ciascuno da 3.000 soldati, sono penetrati ieri in altre località dell’Hawran: Enkhel, Nawa, Jassem e Izraa, teatro nei giorni scorsi di un “mini-massacro” contro un corteo funebre, a cui ha assistito l’inviato di Aljazeera international, espulso anch’egli dalla Siria.

Secondo Nadim Khoury, responsabile dell’ufficio di Beirut di Human Rights Watch basata a New York, i militari e le forze di sicurezza siriane hanno aperto il fuoco ieri in ben 42 diversi centri siriani. Tra questi anche Duma e Muadamiya, a nord di Damasco, Saqba e Jisrayn a est della capitale, dove sono stati condotti arresti di massa nelle abitazioni private. E se a Daraa i residenti riescono a parlare con l’esterno tramite la rete cellulare giordana, in queste altre località i civili sarebbero del tutto isolati, senza nemmeno l’elettricità. A Jabla, sulla costa nord-occidentale, è salito intanto a 13, secondo gli attivisti, il bilancio degli uccisi nella repressione della domenica di Pasqua.

Fonte: Europa, blog: il Mondo di Annibale

26 aprile 2011

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Siria, 500 arresti dopo repressione proteste

AMMAN (Reuters) – Le forze di sicurezza hanno arrestato circa 500 contestatori in tutta la Siria dopo che il governo ha inviato carri armati per cercare di reprimere le proteste a Deraa. Lo ha riferito oggi l'organizzazione siriana per i diritti umani Sawasiah.

L'organizzazione indipendente ha detto di aver saputo che almeno 20 persone state uccise a Deraa da quando sono stati inviati i carri armati ieri, ma le comunicazioni con la città meridionale dove le proteste contro il presidente Bashar al-Assad sono cominciate lo scorso 18 marzo sono state tagliate, rendendo difficile ottenere la conferma di questa informazione.

"Testimoni sono stati in grado di dirci che almeno 20 civili sono stati uccisi a Deraa, ma non abbiamo i loro nomi e non possiamo verificare", ha detto un funzionario di Sawasiah, aggiungendo che è stata confermata la notizia di due morti a Douma, nella periferia di Damasco

Almeno 500 persone sono state arrestate in tutta la Siria, ha aggiunto l'organizzazione.

Amnesty International, citando fonti a Deraa, ha detto che almeno 23 persone sono state uccise quando i carri armati hanno bombardato Deraa in quella che è stata definita "una reazione brutale alle richieste della gente".

"Utilizzando l'artiglieria contro il suo stesso popolo, il governo siriano ha dimostrato di voler reprimere le proteste pacifiche virtualmente a qualsiasi costo, qualsiasi sia il prezzo in termini di vite di cittadini siriani", ha detto Malcolm Smart, direttore di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.

26 aprile 2011

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