Il problema siamo noi. Non gli israeliani e i palestinesi


La redazione


Questo è il testo del discorso con cui Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace ha introdotto il lavori dell’assemblea nazionale per la pace in Medio Oriente che si è svolta ad Assisi sabato 17 gennaio 2009.


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Il problema siamo noi. Non gli israeliani e i palestinesi

Grazie Tonio. Grazie a tutti voi che siete venuti ancora una volta ad Assisi.

Non è facile fermarsi e riflettere in modo pacato mentre si continua ad ammazzare, e tanto più è difficile riflettere in modo pacato in un paese dove, da alcuni anni sei quotidianamente chiamato a schierarti. O sei con Israele o sei automaticamente contro Israele. E se non sei con Israele diventi automaticamente un mostro da azzittire e da scacciare. Per questo, molti sono stati zitti in tutte queste settimane.

E allora io sento forte la domanda: quale deve essere il nostro atteggiamento davanti a questa tragedia?

Dobbiamo, io credo, innanzitutto tornare ad aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà, per quello che è. Anche se la realtà ci viene troppo spesso, da lungo tempo, nascosta dal comportamento irresponsabile dei grandi mezzi di comunicazione che preferiscono seguire le linee dettate dalla grande macchina della propaganda israeliana.

Questa guerra non è molto diversa da quelle che l’hanno preceduta. È solo drammaticamente più feroce, più sconvolgente, più agghiacciante.

E’ una guerra sbagliata, illegale e pericolosa.

Sbagliata perché non riuscirà a proteggere la popolazione israeliana che dice di voler proteggere. Anzi la sta già esponendo a pericoli molto più grandi. E’ sbagliata per una ragione molto semplice: perché è sbagliato lo strumento.

La guerra non è più in grado, e lo abbiamo visto anche in Iraq, in Afghanistan e in tante altre parti del mondo, di raggiungere gli obiettivi che proclama. Ammazzare e devastare in modo così selvaggio la striscia di Gaza, eliminare i leaders di Hamas non risolverà i problemi di Israele. Lo sappiamo. Dopo di Hamas, se non ci sarà più Hamas, ci sarà un’organizzazione ancora più radicale e magari meno organizzata di quanto non lo sia questa organizzazione politica e sociale, con la quale sarà ancora più difficile, o magari impossibile tentare di negoziare.

Questa è una guerra illegale perché viola palesemente la carta delle Nazioni Unite, la Dichiarazione Universale dei diritti umani, il Diritto Internazionale dei diritti umani.

E’ una guerra pericolosa, perché invece di spegnere l’incendio sta gettando nuova benzina sul fuoco dell’odio e del fondamentalismo. Aprire dunque gli occhi e guardare in faccia la realtà vuol dire riconoscere che quella di Gaza è solo l’ultima battaglia di una guerra che si sta combattendo da tempo, lunghissimo tempo, in un’escalation inumana, drammaticamente pericolosa anche per noi, non solo per i popoli del Medio Oriente.

Dopo ogni battaglia si costruiscono muri che diventano più alti, si scavano tunnel e fossati che diventano sempre più profondi, si procurano armi sempre più potenti e si commettono stragi peggiori. Prima di questa battaglia c’era stata un’altra battaglia che ha generato questa battaglia, l’assedio di Gaza, e prima dell’assedio di Gaza il lancio dei missili Qassam, l’occupazione militare di Gaza, della West Bank, il muro di separazione sul territorio palestinese etc. etc. etc…

Aprire gli occhi e guardare in faccia la realtà vuol dire riconoscere che siamo giunti davanti ad un bivio. Non è il problema solo di questa guerra, di questa battaglia. Siamo giunti ad un bivio molto più radicale: o ci impegniamo tutti a scrivere la parola fine a questa tragedia, oppure finiremo per esserne travolti.

Questa è la scelta che dobbiamo fare oggi. Anzi che avremmo dovuto fare da tempo, e oggi il tempo si sta riducendo rapidamente e drammaticamente, come si sta riducendo anche lo spazio per un’azione politica efficace.

Oggi l’obiettivo più urgente è il cessate il fuoco, e come ha detto anche ieri il Segretario Generale dell’Onu, sarebbe bene che fosse anche unilaterale. Speriamo in uno stop unilaterale da parte di Israele, perché non possiamo più tollerare per un solo istante questo terribile bagno di sangue.

E allora io vorrei fare ancora una volta, a nome di tutti i presenti -questo è il motivo primo per cui siamo venuti oggi ad Assisi- vorrei innanzitutto fare appello alla coscienza personale, prima ancora che alla responsabilità istituzionale dei leaders politici del nostro paese, che ancora non hanno aperto bocca, o che l’hanno fatto maldestramente, per tentare di fermare questa guerra, per tentare di fermarla subito!

C’era altro da fare prima. Perché questa guerra è stata preparata in almeno quindici mesi. Bisognava intervenire prima, forse bisognava prevenirla, impedirla! Ne hanno discusso a lungo gli israeliani, apertamente, sui loro giornali, e noi non abbiamo fatto nulla per impedirla!

Ma la cessazione momentanea di questa barbarie non basta, se non sarà appunto accompagnata da una volontà politica nuova, inedita, di risolvere definitivamente la questione palestinese.

Negoziati senza fine potano solo ad una guerra senza fine, non alla pace.

Lasciare da soli i palestinesi e gli israeliani nella ricerca di un accordo giusto e realistico è da irresponsabili. Non ce la faranno!

Continuare a dividere i palestinesi in buoni e cattivi, in moderati ed estremisti e poi bastonare e umiliare entrambi, vuol dire scegliere la guerra non la pace!

Ecco perché è venuto il tempo di smettere con la retorica, di smetterla con gli appelli agli israeliani e ai palestinesi. Non è questo il punto. Il punto non sono più loro. Dopo quarant’anni e passa di conflitto, il punto siamo noi, l’Italia, l’Europa, la Comunità Internazionale, il terzo che non c’è.

Dice Norberto Bobbio, lo voglio citare con le sue parole “ Il conflitto termina o con la vittoria di uno dei due rivali o con l’intervento di un terzo, o sopra o in mezzo o contro i due rivali. Occorre che emerga il terzo cui le parti si affidino o si pieghino.”

Ho sentito il presidente degli Stati Uniti, Obama, citarlo nella sua prima intervista, quella che ha rotto il lungo e allarmante silenzio che ha preceduto la sua elezione. L’ho sentito citare l’esigenza di questo Terzo, e credo che l’Europa, l’Italia, ciascuno di noi farebbe bene ad andare a vedere cosa c’è dietro questa dichiarazione, senza perdere altro tempo. E poi cominciare a lavorare di gran lena.

Ecco perché, per fare la pace in Medio Oriente, c’è bisogno di qualcosa di veramente nuovo. Non lo dico solo per pietà, che pure mi sembra una merce rara in questo periodo, non solo nei palazzi che ci governano ma anche purtroppo in tanti silenzi un po’ preoccupanti in tanti di noi, di tanti italiani. Non lo dico solo per pietà, lo dico per realismo politico.

Ero a Gerusalemme quando è iniziata la strage. Proprio quattro settimane fa. Era di sabato come oggi. Erano le dieci di mattina. Andavo alla Moschea e al Muro del pianto con la mia famiglia quando, improvvisamente, abbiamo visto tutti i palestinesi fermarsi dentro i loro negozi -hanno delle piccole televisioni- e abbiamo visto scorrere delle immagini terribili,…

Ho provato in tutti quei giorni un disagio profondo per quello che non passava mai sui teleschermi: la voce dell’Italia, la voce dell’Europa, l’ho cercata… senza mai trovarla.

Concludo, perché non abbiamo molto tempo.

Ci si chiede: cosa possiamo fare? Abbiamo già detto che bisogna fare un salto. C’è bisogno di un salto della politica. Dobbiamo tornare certamente ad occuparci delle vittime, da tutte le parti, di questo conflitto, ma dobbiamo innanzitutto lavorare qui a casa nostra.

Ci dicono che non abbiamo proposte politiche. Ci dicono che non possiamo prescindere dalla questione della sicurezza dello Stato d’Israele. E allora io vorrei fare una sola osservazione, una sola proposta su questo punto, perché questa è certamente la domanda che sta più a cuore agli israeliani ed io penso che noi tutti che siamo qui abbiamo la stessa domanda nel cuore. E, dunque, abbiamo un dovere di risposta.

Mi domando se questa guerra fosse il solo modo di rispondere all’attacco dei Qassam e alla logica della guerra permanente. Mi sono domandato e mi domando oggi se Israele non avesse avuto, anche in questo caso, come nel caso del Libano due anni fa e in tante altre occasioni, la possibilità di imboccare altre strade.

Mi domando se sia possibile che al terrorismo si debba rispondere in tutto il mondo con l’”orrorismo”, un orrore che oggi purtroppo non è confinato nella Striscia di Gaza ma che continua a Kabul, che continua a Baghdad, che continua a Mogadiscio, in Darfur e in tante parti drammatiche del mondo dove la politica non c’è, di cui la politica non si occupa, in nessun momento, se non con qualche dichiarazione che di tanto in tanto serve a sopire le nostre coscienze.

E allora, dobbiamo dire che, forse, anche ad Israele non abbiamo dato una mano a trovare una strada alternativa.

Israele e la Palestina -l’ho già detto in altre occasioni- sono figli dell’Onu. Sono nati da una risoluzione dell’Onu. L’Onu è in qualche modo la madre sia d’Israele che della Palestina.

Penso,… bisognerebbe innanzitutto che i figli portassero rispetto alla madre, anche in politica e non solo nella vita di tutti i giorni.

Questi due popoli hanno entrambi diritto di vivere in sicurezza. Entrambi non hanno né pace né sicurezza. La sicurezza non è un problema solo d’Israele è anche un problema dei palestinesi. Per Israele c’è la sicurezza dello Stato, che per sessanta anni è stata gestita attraverso le armi. Per i palestinesi c’è la sicurezza umana che manca interamente.

Entrambi i popoli hanno diritto di avere gli stessi diritti e la stessa dignità. Bene, io credo che la madre di questi due popoli si prenda cura della sicurezza di entrambi i figli. Li ha generati e ora spetta innanzitutto all’Onu il compito di garantire e assicurare pace e sicurezza a entrambi.

Ecco un’idea, una proposta politica. L’Onu con il deciso sostegno dell’Unione Europea, si deve prendere l’intera responsabilità di garantire contemporaneamente la sicurezza d’Israele e anche della Palestina.

Dobbiamo arrivare presto alla pace, e se ci vuole un segno a marcare questa discontinuità, questa rottura con l’epoca della cultura e della pratica della guerra, portiamo la sede dell’Onu a Gerusalemme. Spostiamola da New York a Gerusalemme. Trasformiamo questa capitale dell’odio e della violenza nella capitale della pace e della riconciliazione, una capitale per i due popoli, capitale dei due Stati, aperta a tutte le religioni e ai tutti i popoli.

Ci si dica pure che siamo sognatori, ma poi si presenti qualche altra alternativa, qualche altra proposta, la si metta sul tavolo ora.

Purtroppo sappiamo che viviamo in un tempo di grande disordine internazionale, di grave crisi non solo economica ma anche politica, sociale e morale, che attraversa in particolare la nostra vecchia e nuova Europa. Quindi questo sogno, questa idea, questo progetto ha bisogno d’impegno, di gambe, non di deleghe.

E allora credo che noi, tutti noi che siamo qui riuniti oggi, abbiamo bisogno di assumere una responsabilità politica maggiore. C’è bisogno che la nostra iniziativa sia più continua, costante, che sia davvero di stimolo ai nostri governi e a tutti i responsabili della politica. E allora concludo con tre proposte concrete, che rivolgo a nome della Tavola della Pace, degli Enti Locali per la pace e i diritti umani, a tutti quanti noi.

Prima proposta. Quando torniamo a casa, da lunedì, costruiamo in ogni città un comitato per la pace in Medio Oriente. Mettiamoci insieme, riuniamo le istituzioni locali e tutti i cittadini, le persone che hanno deciso di non accettare più di assistere a quello che sta accadendo. Alziamo la nostra voce, interpelliamo i responsabili della politica ai quali facciamo riferimento, chiediamogli cosa stanno facendo. E poi alziamo il telefono, mandiamo una mail, scriviamo ai direttori dei nostri telegiornali. Diciamogli che non si può più continuare così, diciamogli che c’è bisogno di cambiare qualche cosa, se vogliamo non solo fare la pace ma salvare questo paese, salvarne la coscienza civile e la capacità politica di agire con efficacia nel mondo. Perché così non va, stiamo andando a fondo.

E poi rimbocchiamoci le maniche. Noi lanciamo una campagna per dare un futuro ai bambini di Gaza. Non so quanti di voi sanno che la città di Assisi, dove abitano poco più di 24.000 persone, ha un territorio comunale poco più piccolo di quello dove a Gaza vivono 1milione e mezzo di persone, circa 220 km quadrati. La Striscia di Gaza è un pochino più grande: sono complessivamente 330 km quadrati, ma c’è una parte che non è abitata perché fino a poco tempo fa era occupata dalle colonie israeliane. Questa è la situazione degli abitanti di Gaza. Una popolazione che ha un’età media di 17 anni. Il 56% degli abitanti di Gaza hanno meno di 14 anni, lo sappiamo questo? Aiutare i bambini di Gaza non vuol dire dimenticarsi dei grandi, vuol dire pensare a tutta la popolazione e io non credo che possiamo delegare al mondo arabo di ricostruire quello che Israele ha distrutto. Abbiamo una grande chance e una grande responsabilità che non possiamo sprecare.

Infine, la terza proposta. Decidiamo oggi, se siete d’accordo, di andare tutti insieme, questo anno, a Gerusalemme. Dobbiamo andarci tutti perché dobbiamo riportare l’Europa a occuparsi seriamente di quello che sta succedendo lì. Organizziamo una grande missione di pace in Israele e in Palestina. Con la Rete Europea degli Enti Locali in Medio Oriente abbiamo già deciso di farla, ma può essere una cosa nella quale andiamo in tanti, a ricostruire i contatti, le relazioni. Andiamo a parlare con tutti, uno per uno, in Israele e in Palestina, perché con entrambi abbiamo perso la capacità di conoscere e di dialogare.

Questo possiamo fare oggi. Noi. E se volete lo possiamo fare insieme. Grazie.

Flavio Lotti, coordinatore nazionale della Tavola della pace

Assisi, 17 gennaio 2009
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